APOCRIFA: La strada

Qualcuno osserva, con fondamento, la discrasia fra il fatto che, da un lato, Francesco trovi diretto e largo ascolto fra credenti e non e, dall’altro, che le chiese siano sempre più vuote.

Il contrasto non è apparente, ma reale. Francesco papa è una voce che si rivolge ad un mondo il quale, pur bersagliato da un insopportabile rumore e da infinite menzogne fino ad essere divenuto quasi insensibile, non è tuttavia ancora del tutto incapace di intuire, almeno in certe condizioni, il valore di alcune parole e la sincerità  (corrispondenza al vero) del soggetto che le pronuncia.

È, la sua, una voce profetica nel senso più stretto del termine, che si leva ad indicare il vero rivolgendosi a chi, dalla mattina alla sera, è suo malgrado costretto a sorbirne di tutti i colori e, in larga misura, fasulle per commissione od omissione. Il vero che questa voce indica potrà poi essere accettato o meno, ma non dubitano, gli interlocutori, che di vero, quantomeno sostanzialmente, si tratti.

E senza sostanzialmente eccepire lo sdoppiamento imbarazzante che si verifica fra come egli predica (anche con l’esempio) e come razzola il minuscolo, ma economicamente molto attivo e certo poco trasparente, Stato di cui è monarca, per esempio, sulla scena finanziaria internazionale che è uno dei temi di più puntuale sua critica.

Per questo, credo, lo ascoltano indipendentemente dalla rispettiva lingua e colore, compresi coloro che non ne condividono idee anche fondamentali, come è stato anche nella recente esperienza USA.

D’altra parte è questa, in prima istanza, la funzione del profeta (genuino): esporre la realtà  alla luce di Dio.

Le chiese si vuotano, viceversa, per un motivo analogo, ma funzionante all’inverso: anche a causa dell’antico e ricorrente errore di confondere Dio con i preti, le parole della Chiesa (parliamo della nostra) sembrano appassite e non più in grado di arrivare a dire qualcosa di fondamentale per la vita di ogni giorno e, forse, anche più in là .

Gli indizi che suffragano questa ipotesi sorgono dalle eccezioni, cioè da quelle chiese che in virtù delle capacità  e caratteristiche personali dei sacerdoti che le servono sono ancora un evidente richiamo per lo spirito.

Le parole sono, forse, le stesse e comunque il servizio divino è identico nella forma e nella sostanza, ma la differenza è marcata, per usare un termine moderno certo non appropriato, ma che rende l’idea, dalla credibilità  dell’interlocutore.

Se l’interlocutore è il “tempio”, o quello che tale appare (con le ricorrenti beghe e lotte intestine fra i principi della chiesa), le difficili parole del Maestro trovano maggiore difficoltà  a filtrare nella coscienza moderna che sarà  anche scristianizzata, come si osserva, ma che in ogni caso ha bisogno, come sempre e forse ancor più -per la sua maggior razionalità – di fronte al mistero, di esempi concreti e conformi.

Che sono proprio quelli, non per nulla, a sostenere la percepita, pur se istintivamente, veridicità del profeta e degli altri cui viceversa si presta ascolto.

Questa percezione non è da confondere con l’adesione all’autorità , alla quale la coscienza attuale crede sempre meno, o punto, perché essa si è, nel tempo, indebolita da se stessa fino a sciogliersi con l’abuso reiterato di sé per il tramite del potere che ha ingoiato il servizio.

Il processo non è nuovo, nella storia dell’anima: Gesù, detto il Cristo, attraeva senza obbligare, ma non così il tempio, quello di allora, distrutto da Roma, e quello ricostruito sulle sue ceneri, a Roma, di cui è molto dubbio il Maestro avesse qualche desiderio.

Ora il tempio attuale sta ancora dando cattiva prova di sé, e scandalo per i piccoli, con la reiterazione di comportamenti ben analoghi a quelli del secolo (non solo odierno), formalmente riprovati a parole, e condensabili in due termini: potere e denaro.

Ed ecco, quindi, come troppe parole e comportamenti vengano pericolosamente ad assomigliare a quelli dei pastori mercenari di evangelica memoria i quali pensano più a se stessi che al gregge affidato loro.

Quello che sta capitando nella curia romana non è nuovo (e non ci riferiamo solo alla vicenda del cameriere del precedente pontefice che non sembrava invero con il physique du role per una vicenda siffatta in navigazione solitaria), ma il periodico ripetersi, in termini fenomenici e storici, di conseguenze che discendono dalla dura, ma non smentibile, intuizione di Giovanni –il mondo intero giace nel cattivo (1GV 5,19)- ecclèsia temporale compresa.

Oggi però, almeno nella sua esplicita capacità  di reazione e di alzare la voce, Francesco papa addita senza circonlocuzioni diplomatiche od ovattato politicamente corretto i comportamenti illeciti di ecclesiastici e di laici credenti, difformi dall’esempio che sono invece tenuti a dare.

Con una notazione (sua) significativa e pesante in termini ecclesiali: che a Roma gli manca la strada, quella dell’Argentina che è poi la stessa percorsa, un tempo, a piedi fra i tanti villaggi e rive della Palestina da Colui del quale oggi è il vicario.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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