HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO: Poesia e Musica del Cosmo: quando gli Universi si intersecano

L’APPROFONDIMENTO: Poesia e Musica del Cosmo: quando gli Universi si intersecano

Nella parte precedente ci eravamo lasciati ad un bivio: un percorso che, da una parte, porta verso l’esterno, verso lo studio del cosmo, mentre dall’altra va verso l’uomo e la sua essenza.

Oggi seguiamo il filo che ci porta verso il come è fatto, il come funziona. Un percorso che conduce verso l’origine del cosmo e quello che siamo.

L’argomento del “come funziona” potrebbe partire dalla parola Cosmo che indica, secondo alcuni, non soltanto un universo, ma un insieme di universi (e la fisica moderna considera infatti un’infinità di universi possibili).

Questo non è solo frutto di pensieri filosofici e di visioni spirituali, ma vi sono precise teorie che conducono a modelli di questo tipo.

Diversi scienziati hanno indagato il tema in maniera matematica.

La prima teoria sull’argomento porta il nome di Hugh Everett. Il fisico statunitense, nel 1957, elaborò una teoria su base matematica dimostrando che vi sono combinazioni di stati quantici in un singolo universo che non possono appartenere a quell’universo. Da qui la prima idea di tipo matematico di quello che possiamo definire universi paralleli.

La teoria fu perfezionata verso la fine del secolo scorso dal fisico David Deutsch, docente presso l’Università di Oxford. Secondo Deutsch gli universi paralleli non sono del tutto indipendenti, ma interagiscono tra di loro con quelle che vengono definite particelle ombra.

Da citare anche gli studi sull’argomento del fisico svedese Max Tegmark, ora docente presso il Massachusetts Institute of Technology. Secondo Tegmark, addirittura, gli universi paralleli avrebbero una sorta di struttura gerarchica. Questo fatto appare non così dissimile da diverse concezioni spirituali, quali quella buddhista tibetana, che parlano di “Mondi di sopra” e “Mondi di sotto”.

Tegmark è noto anche per il suo libro, l’Universo Matematico, in cui il fisico ribadisce come la matematica non sia soltanto un mezzo descrittivo dell’universo, ma che l’universo stesso è matematica. Parla poi di universi paralleli affermando che, da qualche parte, ci deve essere un doppione di noi.

Una sua dispensa in argomento si può trovare su: http://arxiv.org/pdf/0704.0646.pdf.  Inoltre sul sito del Massachusetts Institute of Technology: http://space.mit.edu/home/tegmark/multiverse.pdf.

E’ interessante citare anche il lavoro di Tom Gehrels, il quale afferma che gli universi paralleli avrebbero avuto anche influenza sull’origine del nostro come noi lo conosciamo. E’ disponibile una dispensa: http://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/0707/0707.1030.pdf.

Credo sia interessante cercare di comprendere cosa questi universi paralleli possano dirci e a quale visione delle cose e della vita stessa ci conducano.

Affascina il fatto che questi vengono a definire una verticalità del tempo. Infatti, se gli universi paralleli sono, come sembra, un’infinità numerabile (vale a dire un qualcosa che si può mettere in relazione con i numeri interi), allora abbiamo anche una visione “verticale” del tempo nella quale la posizione di un punto non è più qualcosa che viene identificata solo da spazio e da tempo, ma anche dalla sua posizione in un singolo universo.

La meccanica quantistica ci porta a comprendere meglio ed infatti è da questa parte della fisica moderna che l’argomento prende le mosse. In particolare dalla cosiddetta “Interpretazione di Copenaghen”, elaborata nel 1927 da Niels Bohr e da Werner Heisenberg. Essa va ancora oltre il cosiddetto “Principio di Indeterminazione”, elaborato nello stesso anno da Heisenberg. Secondo questo principio è impossibile conoscere (predire) simultaneamente il valore di alcune coppie di grandezze, quali velocità e posizione di una particella, prima che venga compiuta la misurazione. Secondo l’Interpretazione di Copenaghen, l’osservazione stessa modifica il risultato della misurazione. Si viene quindi ad affermare che la realtà stessa dipende da chi la osserva e la semplice osservazione di un esistente lo può modificare. Sino ad arrivare a dire che, forse, l’esistente stesso esiste perché qualcuno lo sta osservando.

Una simile posizione appare in contrasto con l’oggettività del reale, che nella fisica si esprime con il cosiddetto “principio di realtà”, un principio per cui le cose hanno un’esistenza intrinseca, indipendente dal fatto che qualcuno le osservi o meno (Einstein, a tal proposito, affermava che la luna è lì anche se nessuno la guarda). L’Interpretazione di Copenaghen, andando di fatto a smentire questo, ci suggerisce che noi influenziamo il nostro divenire e che il modo con cui guardiamo le cose può cambiarne il corso. Almeno a livello subatomico: ma tenendo conto che l’infinitamente piccolo dà origine all’infinitamente grande tutto questo appare possibile. Una cosa vera per un elemento microscopico dovrebbe, ragionevolmente, essere vera e possibile per un insieme esteso.

L’Interpretazione di Copenaghen si spinge oltre. Secondo questo modello, prima di un evento esiste un pacchetto di onde, contenenti stati quantici sovrapposti: dopo l’osservazione, però, esiste una sola onda piana. Questo ci porterebbe a dire, almeno per una singola particella, che prima di un evento vi sono in esso tutte le possibilità e tutte le possibili ipotesi di realizzazione dello stesso. Sarà l’osservazione a determinare quale di queste opzioni possibili avrà luogo.

Se possiamo estendere questo al macroscopico, si potrebbe arrivare ad affermare che, prima che avvenga un evento, tutte le possibilità sono aperte, e sarà la nostra visione sullo stesso a influenzarne il corso e a determinare quale di queste opzioni prenderà forma. Ancora una volta, quindi, e ancora di più appariamo come i (possibili) facitori della realtà attorno a noi e non solo come semplici fruitori della stessa.

Quanto sopra si inserisce molto bene nel discorso sugli universi paralleli: infatti Everett prende le mosse proprio da questa considerazione ed afferma che l’osservazione non distrugge il pacchetto d’onde, ma crea altrettanti universi paralleli nei quali ognuno degli eventi possibili prende forma.
In pratica, quindi, si arriva alla visione in base alla quale tutte le possibilità di un evento si realizzano in un Universo Parallelo: ogni evento, quindi, creerebbe tanti doppioni di noi stessi quante sono le possibili realizzazioni dell’evento stesso.

Secondo Deutsch, tornando a quanto dicevo prima, quello che qui siamo potrebbe interferire con quello che siamo in un universo parallelo. In effetti, se esistono vite parallele diverse io non sono (solo) al computer, ma sto attraversando una montagna in notturna oppure sto partecipando a qualche spedizione transoceanica. O, ancora, sto già dormendo essendo ora quasi giunti al limitare del giorno successivo. E scoprire che tutto questo potrebbe interferire sulla mia vita, magari per qualche “fenditura” che si è aperta, potrebbe davvero aprire nuovi orizzonti. E scoprire poi che, alla base di questo, ci sono precisi modelli matematici, è ancora più suggestivo.

Tutto questo appare affascinante, ma pone un interrogativo: se si creano universi paralleli per ogni evento possibile, questi sono tantissimi!

Dicevo che sono un’infinità numerabile: se consideriamo tutti gli eventi accaduti a tutti gli uomini passati sin qui su questo pianeta, e tutte le possibilità alternative per ogni evento, otteniamo che questi sono moltissimi. Tuttavia, sono in numero finito. E un infinito è sempre infinitamente distante da qualsiasi numero finito, per quanto grande possa essere. Quindi, ci sono universi sufficienti per infinite persone.

Tra questi universi, quindi, ce ne potrebbero essere di molto simili al nostro attuale ed altri in cui il tempo è traslato in avanti o indietro. Dove, quindi, gli eventi che qui stanno avvenendo sono già avvenuti o dove stanno avvenendo eventi che qui avverranno. Forse, quindi, quella che chiamiamo preveggenza altro non è che la capacità di spostarsi nella verticalità del tempo, vale a dire tra Universi Paralleli.

Mi piace concludere questa trattazione con un esempio legato alla musica. Nella musica abbiamo una componente orizzontale, data dalla melodia. Ma c’è anche una componente verticale, data dall’armonia. Nella musica polifonica, poi, la verticalità è data dalla sovrapposizione di orizzontalità, perché si hanno più melodie sovrapposte.

Se consideriamo una partitura a più voci, abbiamo un rigo per ogni parte vocale, che è indipendente dalle altre. La musica, però, deriverà dalla sovrapposizione delle singole voci.

Possiamo considerare le singole voci come universi paralleli, che si muovono orizzontalmente, dove l’orizzontalità è la dimensione tempo. Queste voci, tuttavia, interagiscono tra di loro, in maniera consonante o anche dissonante. L’armonia deriva dalla loro sovrapposizione.

Questo ci riporta al modello di David Deutsch, dove qui le particelle ombra sono le sovrapposizioni, consonanti o dissonanti, delle singole voci. E ci riporta anche a quanto dicevo prima: la dissonanza è qui data dalla sovrapposizione di voci. E se le dissonanze nelle nostre vite fossero date dalle sovrapposizioni, non sempre consonanti, delle nostre vite parallele?

Un interrogativo che credo rimarrà aperto ancora per molto tempo (almeno molto “tempo orizzontale”).

Nel prosieguo passeremo a problemi ancor più legati al metodo scientifico e alla sua visione.

Sergio Ragaini
Matematico e ricercatore, Milano

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