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APOCRIFA: La strana guerra

Fra una parte che, a modo suo e tenendo conto di essere uno stato autoproclamato, non perde occasione per sottolineare lo stato di guerra in atto e la sua volontà di continuarlo aumentando la propria capacità offensiva e una parte che preferisce continuare il tentativo di derubricare la tragica situazione a terrorismo.

Da un lato c’è un soggetto unico che tace, salvo sui propri propositi e sulle ripetute rivendicazioni, mentre dall’altro le parti sono molte, in visibile disallineamento reciproco, che parlano troppo e nei fatti si muovono poco: ad iniziare dal mettere a punto una più efficace difesa interna che è il vero campo di battaglia, ancorché anomalo, della intricata vicenda.

Dal ‘Taci, il nemico ti ascolta’ a suo tempo declinato nelle varie lingue europee ai tweet dei molteplici soggetti dei governi coinvolti che non rinunciano a cercare di apparire mediaticamente: un occhio alle disgrazie ed uno alle proprie fortune politiche. Il nemico sa sull’Europa molto di più di quanto non sia l’inverso, anche solo leggendo la stampa, comprese le falle e le gelosie dei vari servizi che sono ancora ben lungi dal collaborare in modo efficace.

Da un lato c’è una chiara visione strategica, ancorché dispotica, delirante e delinquenziale (anche uno stato, per quanto non riconosciuto, può essere delinquente), e perfino un progetto, ancorché idolatrico, tanto lucido e tanto ben comunicato ai destinatari -opportunamente raggiunti per il tramite di un efficiente ed efficace paradigma organizzativo- da raccogliere adepti che, in buona parte, aderiscono perfino all’idea del suicidio, mentre dall’altra la democrazia continua a mostrare le sue debolezze piuttosto che la sua forza come avvenuto nel passato (è indicativo della confusione che, ad esempio, la potente destra francese -peraltro in costante crescita- sia giunta a proporre la reintroduzione della pena capitale: come deterrente nei confronti dei kamikaze appare in effetti come un’idea quasi risolutiva).

Una parte, poi, gode di alleanze evidentemente discrete, che tutto fanno salvo che cinguettare coram populo, e di cospicue fonti di finanziamento non meglio identificate, mentre le altre continuano imperterrite, e forse non riescono nemmeno a fare diversamente, a mantenere alleanze (e probabilmente a condividere anche qualche notizia) con stati che, quando va bene, hanno e neppure transitoriamente i piedi in due scarpe: basta qualche considerazione sui compagni di viaggio, più o meno obbligati, della marcia europea contro il Califfo per andare in depressione.

E’ abbastanza evidente come significative correnti di pensiero nella attuale civiltà islamica medio-orientale ritengano la civiltà europea in progressivo stato di indebolimento ed esaurimento sia sotto il profilo etico sia religioso e considerino propizio il tempo per una espansione idonea, nei loro intendimenti, ad un travaso culturale, economico e politico a proprio vantaggio. Che è il fine di tutte le guerre, comunque le si voglia chiamare.

Fine analizzato con freddezza e posto in corso di esecuzione con logica consequenzialità atteso che le deboli ed al loro interno rissose e vociferanti democrazie europee sembrano avere in questi non pochi anni fatto di tutto per apparire vulnerabili agli occhi dei loro non mai correttamente riconosciuti come tali nemici esterni: una coltura quasi ideale, vista dall’esterno, per innestare l’infezione.

Ora qualcuno inizia ad osservare che il pericolo è già annidato all’interno delle nostre città, ma in tutti questi anni di distrazione quello che più è mancato è stato proprio l’impegno civico a trasmettere ai (molti) nuovi arrivati la percezione della necessità di una comune cultura minima condivisa come condizione essenziale per il diritto d’asilo. Altro che vociare al vento su integrazioni più vagheggiate in teoria che perseguite nella pratica quotidiana.

Riconoscendo come sia difficile trasmettere ai nuovi venuti la consapevolezza di un’etica civica che largamente già difetta da tempo negli autoctoni ospitanti, di buona o cattiva voglia.

Ma, al contempo, riconoscendo anche come questa ricostruzione civica sia necessaria anzitutto all’interno e poi nella sua relazione con l’esterno: è questo, infatti, il parametro a fronte del quale la storia darà il suo voto agli attuali politici, ai loro elettori, agli esiti di questa strana guerra, se possibile ancora più sporca e vile delle precedenti, che quasi nessuno è (ancora) disposto a riconoscere per quella che è.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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