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EDITORIALE

Oramai a poche settimane dalle amministrative aumentano verosimilmente le perplessità di molti cittadini circa la funzione del sindaco, considerando le campagne o non campagne elettorali in corso, o, per meglio dire, circa cosa realmente pensino i candidati in rapporto al proprio eventuale ruolo se eletti.

Non si parla tanto dei famosi programmi i quali appaiono superati dal fatto non solo di essere stati, nelle cronache passate, ricettacoli di bugie tali e tante da togliere confidenza nello strumento, ma anche da una certa difficoltà di precisare obiettivi realistici stando al di fuori, come nella maggioranza dei casi, di queste complesse macchine organizzative più o meno bene funzionanti che sono, appunto, i Comuni.

Basterebbero, forse, orientamenti seriamente modulati e comunicati sulle principali linee d’azione che si intenderebbe intraprendere: priorità, tematiche essenziali (quindi poche), modalità, risorse. E già non sarebbe poca cosa.

Viceversa la corsa procede per slogan o frasi fatte, che fanno maggior effetto nella comunicazione contingente e che, numerose e contraddittorie, sono anche più facili da dimenticare una volta esaurita la rispettiva funzione strumentale, per polemiche verso gli altri in modo da recare, riuscendovi, discredito all’avversario piuttosto che impegno per se stessi e, soprattutto, senza specificare con quali risorse rendere agibili le promesse e tuttologhe attività (attività legislativa compresa).

Il particolare non è banale in rapporto alle condizioni di perduranti difficoltà, anche se qua e là in lento miglioramento, del Paese e delle condizioni della finanza pubblica sui territori e quindi nei Comuni.

L’impressione, poi, che l’Italia sia forse un po’ troppo lunga per le proprie forze, anche se allo stato non c’è rimedio, è spiacevolmente rafforzata dalla constatazione delle macroscopiche diversità d’approccio nelle diverse città -ad esempio Milano, Roma, Napoli- fra le quali la prima, che pure ha poco di che consolarsi, appare quantomeno corrispondere a criteri in sostanza accettabili.

Il vizietto, o vezzo, comune che collega orizzontalmente troppi candidati, indipendentemente dalle loro rispettive potenzialità, è lo strabordare di stucchevoli immagini che (magia della comunicazione) li riprendono sul campo, immersi ed a contatto con il territorio (come si usa dire) e quindi a disponibile colloquio con la gente comune nei mercati, sui marciapiedi o nei negozi quando non, addirittura e con invidiabile sprezzo del ridicolo, nei panni di cuochi e camerieri impegnati in eventi dubbiamente promozionali: non si chiede che l’aspirante sindaco svolga una tantum siffatte funzioni per far vedere di essere sensibile, ma -se mai- che si ricordi del bisogno della gente una volta seduto nella poltrona.

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