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EDITORIALE:

La vita sociale (e privata) appare sempre più condizionata da alcuni aspetti della realtà che crescono per una sorta di autoalimentazione come i contenuti dell’economia e dei mercati finanziari (globalizzazione), la inesorabile ripetitività (fino all’aggressione) dei messaggi pubblicitari, l’invadenza della televisione (che molti politici preferiscono al Parlamento), il flusso continuo delle informazioni e dei dati sulle reti responsabile di un rumore di fondo oltre le soglie normali di percezione.

Sarebbe necessaria la concreta diffusione di una cultura, contenente anticorpi specifici ed efficaci, atta a secernere, individuare, pensare (e ripensare) prima di parlare e di scrivere, ma questo sarebbe in direzione conflittuale rispetto al mito della rapidità e della connessione continua che pure miete progressivamente sempre più vittime, non sempre coscienti, fra le folle dei così detti social, ambienti virtuali in formato elettronico nei quali gli utenti si connettono comunicando reciprocamente e condividendo materiali.

Così il web, che alla lettera evoca, fra i vari suoi significati, la tela del ragno e il reticolato, è suscettibile (come tutte le cose umane) di uso sia corretto sia scorretto e, soprattutto, di abuso per cui, sempre valendo l’enunciazione del Gresham (la moneta cattiva scaccia quella buona) la cui origine qualcuno individua già nelle Rane di Aristofane ad indicare come rispecchi un vizietto vecchio come il mondo, consegue che l’ambiente virtuale rende possibile la tentazione soggettiva/collettiva di costruire anche realtà, del pari virtuali, delle quali ben presto si dimenticano l’unilateralità e la deficienza: esse diventano vere.

In verità i problemi, nella gran maggioranza dei casi, sono entità complesse cui rilevanti difficoltà di impostazione (e soluzioni) derivano tra l’altro proprio dalla globalizzazione la quale innesta cause e concause come effetti rettilinei ed obliqui sempre più critici e difficili da valutare nel corso dei processi decisionali.

Il paradosso, peraltro solo apparente, è che a fronte di una realtà (non virtuale) obiettivamente complessa l’interpretazione (virtuale) riflessa nei (o dai) social è tendenzialmente semplificatoria: ma questo non è un valore poiché deriva sostanzialmente da approcci i quali, desiderando dire -e sentirsi dire- solo quanto è maggiormente gradito generano necessariamente posizioni monche, unilaterali, fondamentalmente mistificatorie.

Nondimeno questi approcci, simili a virus, fuoriescono significativamente dall’abusato web e, poiché in ogni caso sono espressione di possibili elettori cui fare la corte, si travasano nel linguaggio tattico di troppi politici che, una volta scelta la strada del rumore, sono di fatto costretti (per farsi sentire nel generale -e montante- bailamme) ad aumentare le dosi. Come nelle tossicomanie.

Così, anziché indicazioni e progetti attendibili, si usano e si sprecano -non solo in Italia (vedi ad esempio USA)- slogan, polemiche ed accuse contro gli avversari, dichiarazioni e promesse del tutto prive di riscontri e palesemente inutili in quanto del tutto irrealizzabili, ma nondimeno usate come clava per farsi largo nell’arena imbarbarita ove il ragionamento e la verifica dei fatti vengono oramai considerate da gran parte dell’opinione pubblica una perdita di tempo.

Bisogna considerare che la reazione spazientita verso le troppe parole dei politici (da non confondere con il ragionamento e la verifica dei fatti) è stata causata dalle croniche inadempienze e incapacità di molte persone le quali, anche fatte eleggere per scelta interessata ma sterile dei rispettivi capi, non sono state in grado di fare il proprio lavoro in modo dignitoso e che questa reazione è stata qualificata (errando) come antipolitica.

Ma fa specie che per il vizio politico, di cui già si stanno raccogliendo infidi frutti, di procedere con fanfaronate irresponsabili per compiacere quanto certe folle, comunque di elettori, vogliono sentirsi dire si sia arrivati a coniare perfino un termine, a sua volta ambiguo, ma -pur nel quasi ossimoro- indicativo: post verità.

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