Parlare di Dio

È stato scritto che se avesse voluto avrebbe potuto varcare il soglio pontificio. Non ho la competenza per parlarne, ma credo sarebbe stata un’avventura unica provare ad avere come papa un riformatore sensibile e attento non solito ad esprimere ferree certezze, ma la necessità di riscoprire la parola di Dio (e, aggiungerei, con tutta l’umana fatica che questo comporta).
È troppo facile associarsi al generale consenso (dei morti niente se non il buono, suggerisce il proverbio) per cui preferisco, fra i tanti, sottolineare due aspetti che mi hanno, e non ora, detto qualcosa d’importante e comunicato la misura dell’umiltà, della fede e della cultura di Carlo Maria Martini: di come parlasse di Dio all’uomo moderno.
Il primo è il suo dialogo ininterrotto con il non credente o ateo che, al pari di tanti altri in cammino, dichiarava di avere con sé nel cuore.
Quest’atto semplice, ma tanto difficile è magistralmente, a mio avviso, scolpito nella risposta a Gesù, che lo invita ad avere fede, da parte del padre dell’indemoniato: “io credo, (ma) tu sostieni la mia incredulità” (Mc 9,24).
Un vero dialogo è infatti possibile, al di fuori delle molteplici ipocrisie che notoriamente qualificano quest’atto umano potenzialmente fondamentale e che di fatto lo impediscono, solo quando non si parta dal presupposto di essere l’unico ad avere ragione ed essere nel vero.
Martini era sinceramente attento alle ragioni dei non credenti poiché a sua volta, come molti di noi, sovente si confrontava con le difficoltà umane della fede e comprendeva quindi anche chi non riusciva a superarle.
“L’importante è che impariate a pensare, a inquietarvi”.
Il secondo è la sua visione della morte, “realtà tutta negativa”, della quale aveva l’umile coraggio di dichiarare sia il timore sia la necessità di affrontarla in modo cosciente in una prospettiva di affidamento a Dio.
Molti contemporanei, viceversa, cercano di esorcizzare la paura della morte con il mito della salute e del benessere e della vittoria sulle malattie, in questo aiutati dai grandi progressi della scienza medica nonostante essa, sovente, sia in grado solo materialmente di aggiungere anni alla vita, aprendo altri tipi di problemi.
Problemi sui quali il cardinal Martini ha avuto parole cariche di ansia paterna, se non profetiche, quando ha scritto che “le nuove tecnologie che permettono interventi sempre più efficaci sul corpo umano richiedono un supplemento di saggezza per non prolungare i trattamenti quando ormai non giovano più alla persona”.
E di tale difficile ma sostanziale considerazione (che è cristiana nel senso più alto poiché comporta il senso cristiano della morte) ha dato esempio lui stesso, come ci si attende da un maestro.

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