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APOCRIFA: Riflessione al bando

 

Il modo di presentare, da parte di una casa editrice specializzata, un nuovo saggio sulla leadership induce a considerare come stia cambiando (anche) la comunicazione di taglio professionale ed a quali riferimenti culturali essa si orienti.

Dunque il libro in parola, che si lascia senza nome e dal contenuto del quale ora si prescinde poiché interessa unicamente la sua presentazione, è opera di persona esperta nel settore della leadership e dello sviluppo professionale ed ha il dichiarato scopo di aiutare manager e dirigenti di ogni livello a diventare leader più capaci.

Esso è promosso anche per il tramite, secondo l’uso corrente, di brevissime sintesi a firma di personaggi importanti il cui successo professionale è visto come garanzia utile a verosimilmente aumentare la credibilità, in termini di giudizio di valore, della opera cui si rivolgono.

Eccole, per quanto d’interesse:

…rispondere in modo attivo a situazioni alle quali in precedenza avrebbe reagito con la riflessione”;

…saggio stimolante, pensato alla luce del contesto mutevole e ad alta velocità in cui tutti viviamo“;

… libro innovativo, esaustivo e pragmatico sull’importanza dell’azione rispetto all’introspezione. È il coach perfetto, che mostra agli aspiranti leader come uscire da se stessi e guardare il mondo che li circonda“.

Quindi l’editore riassume che viene ad essere ribaltata la filosofia tradizionale del “prima pensa, poi agisci”.

La congiuntura storica dell’attuale stato di civilizzazione tendenzialmente mondiale è caratterizzata dai connotati della rete fra i quali globalità (appunto), capillarità e rapidità di diffusione di qualsivoglia notizia o dato indipendentemente dal suo essere vero: sembra sufficiente, oltre che vincente (si vedano Brexit ed elezioni USA), che la notizia (paradossalmente: anche se falsa e, come tale, passibile di verifica che però non si realizza) abbia riscontro e successo: una sorta di democrazia deviata da emotività e convinzioni personali che sovente corrispondono, di fatto, a quello che uno preferisce o vuole sentirsi dire indipendentemente dalla obiettività delle cose.

Quello che conta maggiormente, quindi, non è il fatto in sé, che può venire astratto e svincolato da cose o dati obiettivi, ma come il fatto stesso (quindi, nel caso, già svincolato dai dati obiettivi e quindi, a rigore, nemmeno più lo stesso fatto) viene, da un lato, veicolato/comunicato (emozione, simpatia, empatia) e, dall’altro, ricevuto ed accettato (la lunghezza d’onda è peraltro la medesima: emotività e desiderio di ricevere e di farsi dire quello che personalmente si preferisce).

Che è poi anche, in estrema e semplificata sintesi, corrispondente alla produzione e alla ricezione della così detta post-verità (al di fuori del politicamente corretto: bugia), atteso che nel termine il post non fa riferimento ad un ordine cronologico, cioè di un ‘dopo’ rispetto a un ‘prima’ (con la conseguenza che si verrebbe a verificare o a incontrare la verità in un secondo tempo, a posteriori), ma ad un oltre, ad un sorpasso o superamento della verità: in altre parole, se la verità viene tanto superata da perdere il suo valore o far sì che si perda anche la preoccupazione di mantenere un pur qualsiasi collegamento con la verità (che diviene in tal modo superflua) siamo allora nella menzogna, sebbene emotivamente accattivante, in quanto si rifugge dalla verifica o si preferisce non andare a controllare (tra l’altro con possibile utilizzo della medesima rete) quanto più o meno corte siano le sue proverbiali gambe.

Quindi il nostro aspirante leader effettivamente si trova in uno scenario mutevole e ad alta velocità, in cui i dati si rincorrono e all’interno dei quali vanno di pari passo, nel migliore dei casi, obiettività e bufale, e in questo scenario scivoloso sarà chiamato a decidere auspicabilmente per il meglio, nell’interesse di chi egli rappresenta oltre che del suo personale.

Ma rispondere in modo attivo laddove, un tempo, avrebbe reagito con la riflessione cosa vuol suggerire?

Di top gun con il dito sul grilletto ne abbiamo in circolazione fin troppi, sia in politica sia in economia, e di macerie qua e là ce ne sono in eccesso, corrispondenti a risorse sprecate o male utilizzate.

A meno che non ci si voglia riferire e antagonizzare una ‘riflessione’ che tale non sia, ma un’altra cosa, il suo esatto contrario: falsa riflessione e cioè stato di incapacità a pensare ed a decidere di conseguenza (al netto, si capisce, degli errori che sono sfortunatamente necessari compagni dell’umana fallibilità, quella dei superuomini compresi) sulla falsariga del noto Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur il quale indica, viceversa, l’irresponsabile perdita di tempo per ignavia, mancanza di coraggio etc.

Situazione che, all’evidenza, non corrisponde proprio alla riflessione come antefatto o necessario strumento dell’azione (…quale re venendo a scontrarsi a battaglia con altro re, non siede prima a consigliarsi se è possibile…Lc 14,31).

Con buona pace della ricerca di frasi ad effetto, il ‘prima pensa, poi agisci’ è già stato rovesciato da tempo dalla moda dei decisionisti, o supposti tali, generati costoro dal (giusto) riflusso verso i titubanti di professione che le decisioni non le prendono mai (il pendolo va da un estremo all’altro e viceversa) e sarebbe forse l’ora di aiutare la gente a ri-prendere termini e significati, che sono indispensabili al vivere e al progresso (evolutivo) della civilizzazione, ma nella loro più reale sostanza e non sotto forma di slogan anche se di moda. Che a sua volta cambia secondo il vento.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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