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APOCRIFA – Libertà va cercando

Dante (II, 1, 71-72) scrive in un tempo nel quale è ignoto il concetto di democrazia, un tempo di supreme autorità, signori, signorotti e rispettivi cani da guardia che variamente limitano e mettono a repentaglio la libertà delle persone e in particolare la libertà politica che è quella, da sempre, considerata più pericolosa, e quindi sommamente sospetta, da parte del potere più o meno costituito.

Il poeta, che peraltro sperimenta di persona l’ambiguo e sdrucciolevole scenario in cui non solo lui, ma molti altri nei secoli prima e dopo si sono trovati a vivere, arriva a scegliere come custode del Purgatorio un pagano suicida che, a rigore, non sarebbe potuto mancare nel consesso degli spiriti magnanimi del Limbo, ma Catone assurge a simbolo, e anche garante, della libertà politica all’indomani dell’inizio della tirannide cesarea destinata a cancellare per sempre la Repubblica.

Oggi siamo abituati a considerare la libertà un dato, tradizionalmente in una quasi naturale endiadi che associa anche la democrazia, non considerando, per cortissima prospettiva storica e culturale, che solo una recente manciata di lustri ci ha messo nelle condizioni non solo di parlare, ma anche di usufruire di condizioni di vita libere e democratiche.
Conviene, ovviamente, limitarsi ai confini della vecchia Europa la quale, pur realmente affetta da acciacchi e bisognosa di cura, è presa di mira, nella dilagante ignoranza, per essere usata come comodo, ma falso paravento atto a dissimulare in qualche modo le più ampie incapacità operative e la mancanza di strategie positive.
Basta infatti uscire dai nostri, peraltro limitati, confini e (in rapporto al globo) poco più (USA, Canada, Israele) per incontrare ovunque e per imbattersi in quel medio evo che sarebbe auspicabile, per la civilizzazione umana, rimanesse chiuso nei libri anziché dilagare per il mondo.

È noto che l’inflazione terminologica causa, come ogni inflazione, l’assottigliarsi, fino all’esaurimento, del valore dei concetti cui si riferisce per quanto semplici e intuitivi questi possano essere.
Così plurimi regimi tirannici e liberticidi, con l’auto-applicazione sfacciata e fasulla di termini nobili, da un lato non modificano in meglio di una virgola la propria bieca sostanziale natura e, dall’altro, contribuiscono ad annacquare il senso della realtà nei mercatanti di voti che si trovano comunque, per loro non riconosciuta fortuna, a disporre di patrimoni ideali e materiali da loro stessi non mai arati né seminati.

Abbiamo infatti notato come l’anti politica (qualsiasi cosa volesse significare l’ambigua formula, comunque comodo oltre che errato slogan) da quando si è messa a tavola non solo non abbia innovato in meglio nulla, ma abbia presto imparato le cattive abitudini che contestava ai terzi fino a mangiarsi anche i tovaglioli di carta (la sindrome di Roma ladrona supera anche i propri inventori) e come il sovranismo antieuropeo, già motore di lutti e sciagure immani non più tardi dello scorso secolo, abbia fatto regredire il Paese a condizioni, non solo percepite, di serietà e affidabilità imbarazzanti.

La Grecia, cui l’Occidente deve la sua peraltro lunga e faticosa civilizzazione oltre che la sua libertà politica (diversamente saremmo potuti divenire una satrapia persiana), quando le si spense una sufficientemente condivisa etica civile di democrazia (che non era un dato neanche per lei, ma una conquista), ebbe a morire.

La storia, in particolare contemporanea, suggerisce che fra i vari sistemi (pochi) di governo, la democrazia sia obiettivamente la più difficile da realizzare poiché, né può essere diversamente, il voto del cittadino probo vale, nell’urna, quanto quello del corrotto e del delinquente.

L’onestà e l’orientamento verso il bene comune non sono tecnicalità della democrazia, ma pre-requisiti necessari della maggioranza (democratica) e, a maggior ragione, della libertà che a questa s’accompagna.

LMPD

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