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EDITORIALE – Legittima difesa domiciliare

Dopo la lunga marcia che ha condotto, con il voto definitivo del Senato il 28 marzo scorso, alla nuova legittima difesa domiciliare e alla non punibilità di chi abbia agito per salvaguardare la propria o altrui incolumità in condizioni di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto, nel corso della quale è stato più volte citato l’antico e ben noto oltre che logico e realistico detto latino adgreditus non habet staderam in manu (chi è aggredito non ha la bilancia in mano), ecco che un estremo e odioso nuovo delitto di strada, l’assassinio di un carabiniere in servizio, fa purtroppo ri-partire a livello di governo una polemica al posto sbagliato.

A cominciare dai titoli ad effetto che la dicono lunga: la legittima difesa per le forze dell’ordine.

Alle forze dell’ordine è infatti (già) applicabile l’art. 53 del codice penale che prevede la possibilità, per il pubblico ufficiale, di fare uso legittimo delle armi al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio: vale a dire se fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità e comunque (aggiunta del 1975) di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.

Ora, ovviamente, anche questo articolo, come la grande maggioranza delle norme sia vecchie sia nuove può essere modificato, integrato e scritto meglio, ma il vero cuore del problema è, e rimane, decidere (da parte del Legislatore) cosa e come lo Stato intenda permettere o non permettere ai propri rappresentanti (nella specie: i pubblici ufficiali appartenenti alle forze dell’ordine).
Poiché è evidente che ogni articolo, anche il più completo, deve poi poter passare dall’enunciazione teorica all’applicazione pratica del singolo caso concreto.

E il Legislatore fa (o dovrebbe fare) le sue scelte normative considerando alcune condizioni di base: lo stato di fatto e di diritto di un determinato momento storico, la comune e più diffusa coscienza e sensibilità dei consociati cui la norma si rivolge, l’indirizzo etico/politico che intende tracciare allo scopo di orientare l’evoluzione della convivenza civile.
S’intende subito come il problema non sia mai semplice da risolvere, neanche in teoria.
Ora, in particolare.

Nel Paese il garantismo, che di per sé è indicatore di civiltà e tutela del debole nei confronti dell’autorità prevaricatrice senza volto (basta guardarsi intorno, al di là dei patri confini, in direzione dell’Oriente e si vede agevolmente cosa questo significhi e a cosa porti) ha per sfortuna, in particolare nelle ultime manciate di lustri, fatto corto circuito con un progressivo (e sembra inarrestabile) rilassamento e perdita, da parte di molti strati della popolazione, delle consapevolezze e delle convinzioni riferibili all’educazione civica in genere e al minimo comun denominatore dello spirito civico che è l’unico pre-requisito su cui far poggiare con possibilità di tenuta effettiva uno Stato caratterizzato dalla tripartizione classica dei poteri fondamentali.

Il segnale d’allarme che da tempo suona ininterrotto, ad esempio, sul fronte della corruzione dilagante ad ogni livello e in particolare nella commistione criminosa con le pubbliche autorità e sottogoverno è indicativo e ha prodotto giri di vite sulle conseguenze delittuose (quando scoperte e perseguite), ma non già resipiscenze culturali, comportamentali e civili: analogamente a quei ceppi batterici che evolvono per aggirare l’antibiotico e ci riescono bene attrezzandosi sempre meglio: anche questa è una forma di evoluzione.

Rivedere le cronache antiche dei primi mariuoli presi con le dita nella marmellata (Mani pulite) e confrontarli con quelle attuali dà la misura di come si sia perfezionata la professionalità criminale e l’assoluto disinteresse circa il rischio di venire scoperti: segno che la rete e le protezioni sono comunque considerate più efficaci delle Procure e della polizia giudiziaria e che, comunque, il gioco vale sempre la candela.

Così -a parte si capisce le varie forme di delinquenza organizzata per cui andiamo famosi nel mondo, l’evasione fiscale endemica e lo sfruttamento intensivo delle intricate (per gli ingenui) provvidenze pubbliche- sono nel frattempo cresciute larghe sacche di funzionari e di cittadini per cui lo Stato, l’amministrazione e il pubblico in genere tamquam non essent (salvo che non li si possa sfruttare).

Lo spirito che emerge da questa perdita di orientamento etico è uno stato di licenza e di rissa continua (i governanti hanno dato da tempo il buon esempio) dove anche il delitto gravissimo è prodotto, come nel caso di specie, da moventi teoricamente deboli seppur altamente pericolosi.

Uscire da questo groviglio e riprendere una visione civile di convivenza condizionata dal rispetto (reciproco) delle regole fondamentali non sarà facile anche perché l’emozione svanisce in fretta, specie nei politici in cerca di consensi, e tutto torna come prima in attesa del prossimo caso sul quale accendere polemiche strumentali, ma nondimeno necessario: le parole sono, come quasi sempre avviene, inutili: servono esempi e, in particolare, provenienti dall’alto.

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