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EDITORIALE – Fiducia nella magistratura

Dal sondaggio Ipsos per Corsera pubblicato sabato scorso emerge che la fiducia dei cittadini nei confronti della magistratura è al minimo storico e che per la maggioranza degli intervistati lo scandalo che ha investito direttamente alcuni componenti del CSM avrà conseguenze in termini di danno reputazionale per la categoria in genere compromettendone la credibilità.

Un unico segno di controtendenza, vale a dire di fiducia nonostante tutto, è registrato fra gli elettori PD, il partito cui appartengono i politici accusati di illecita commistione con, per l’appunto, alti rappresentanti dell’ordine giudiziario.

Il risultato del sondaggio appare, allo stato, realisticamente fotografare, da un lato, uno sconcerto naturale oltre che -da quanto emerso fino ad ora- solidamente motivato e, dall’altro, anche una sorta di conferma a posteriori da parte di quanti, all’epoca delle vicende giudiziarie dell’allora presidente del Consiglio, radicalizzarono la propria posizione circa la pretesa politicizzazione dei giudici e la connessa giustizia a orologeria.

Come sempre, ogni riferimento generalizzato sia pro sia contra incappa nella criticità ineliminabile, ma moralmente ed eticamente dirimente, di non considerare o perdere di vista la persona a favore del genus cui la persona appartiene: onde la valutazione negativa ricade a scapito -in un generico e necessariamente impreciso asse orizzontale- di tutti gli individui che quel genus compongono.

Mentre è, viceversa, certo oltre che attendibile come ci fossero, ed evidentemente permangano nel genus in parola, uomini (e donne) impeccabili e degni della funzione che rivestono ad onta del fatto che la moneta falsa altrui sommerga la propria veridica.

L’altalena della radicalizzazione fu, come altri dannosi fenomeni, comprensibile, ma del tutto impropria come impropria fu (e permane) l’insopprimibile tentazione di troppi di far risolvere nodi politici non a logiche e a dinamiche politiche, ma al comodo intervento di un terzo, il magistrato.

Il quale però, sia in teoria sia in pratica, ha (per fortuna, diversamente non saremmo in un Paese ancora libero) una funzione ben diversa, che è quella di rendere giustizia: a chiunque e verso chiunque.

Ovviamente, in ossequio al principio non scritto (ma vero) che i vuoti si riempiono i buchi lasciati nel tessuto democratico dalla incompetenza e debolezza (per altro non dire) della politica hanno (anche) attratto deviazioni giudiziarie le quali, glorificate per mala fede o insipienza dall’opposta fazione radicalizzata, hanno aperto le prime falle di commistione che oggi tanto preoccupano.

Molto banalmente, ma (Dove si nasconde la verità? Alla superficie) il problema era, è e sarà questo: l’autonomia reale dell’ordine giudiziario non solo come gelosa prerogativa a prescindere, ma come modo di essere e agire sempre e verso tutto.

Vanno eliminate le pregiudiziali generiche e ideologiche, sia pro sia contra, e va recuperata, se possibile, la centralità, vale a dire la diretta responsabilità, dell’individuo, cui garantire per il tramite dell’autonomia (che non confligge con i controlli né di forma né di merito, anzi) le condizioni necessarie e sufficienti per svolgere correttamente la funzione giurisdizionale.

Che non sarà mai perfetta, perché la perfezione non è di questo mondo, ma che avrà come (ineliminabile) debolezza interna, al pari di ogni altra umana istituzione, solo o principalmente l’errore, non la devianza.

Allora ai cittadini tornerà la fiducia e i politici si concentreranno sul lavoro per il quale sono stati eletti.

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