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APOCRIFA – Adversus Franciscum (Pars una)

Un’articolata e dotta nota de Il Foglio di venerdì 11 settembre scorso fa, con la matita rossa e blu, le bucce al papa pro-tempore e non cela il suo proposito fin dal titolo: Contro Francesco.

Procede, la nota, dalla critica circa la lingua usata da Francesco il quale -nonostante la vicinanza di un gesuita illustre e colto come padre Spadaro, S.I. (Societas Iesu), teologo e fine critico letterario oltre che dal 2011 direttore di La Civiltà Cattolica e consultore del Pontificio consiglio della cultura che ha lo scopo di “favorire le relazioni tra la Santa Sede e il mondo della cultura, promuovendo in particolare il dialogo con le varie culture del nostro tempo, affinché la civiltà dell’uomo si apra sempre di più al Vangelo e i cultori delle scienze, delle lettere e delle arti si sentano riconosciuti dalla Chiesa come persone a servizio del vero, del buono e del bello”- ha scelto un livello di lingua media, priva di fascino, che non ha incisività espressiva, non muove, non commuove, non ispira, chi lo ascolta non è messo di fronte alla questione di superare le proprie pigrizie mentali, non incontra la vicaria di Cristo, non vede un maestro sulla montagna… Ma nello stile sociologico di Francesco non si ode nemmeno l’eco della grande letteratura cristiana, moderna e tardo antica, non si vede nulla di Paolo, della Patristica, di Agostino, dell’ascesi eremitica orientale, nemmeno l’ermetismo gesuitico e l’ermeneutica rischiosa del secentismo si vedono, non si vede il Barocco e in genere il frutto dell’arte cristiana, quel gran cinema che onora cattedrali e templi… questa lingua molle è un bignami ignaziano senza l’ombra della forza e della vivezza magistrale dei grandi predicatori, non c’è oscurantismo né illuminismo, né tradizione contro il tempo né gioco della ragione con il tempo, com’era nello stile di un Paolo VI, di un Giovanni Paolo II, di un Benedetto XVI e quindi arriva alla valutazione della sostanza e del merito: il Papa è rifluito nel generico di una grammatica catechistica fatta tutta di amore, di caritas, e di perdono, che sono tratti salienti del cristianesimo, ma solo di quelli, e non bastano al mezzo né al messaggio etc.

Non entro nel merito: le opinioni espresse sono sufficientemente chiare, ma collegate, come peraltro tutte le opinioni in genere, alla prospettiva culturale soggettiva, vissuto e aspettative comprese, di chi parla o scrive.
Suggeriscono, forse, qualche osservazione non diversamente soggettiva.

Francesco è diverso dai papi che lo hanno preceduto così come ogni uomo è diverso dall’altro e vive e opera nella sua singolarità: è stato anche accusato pubblicamente di eresia da parte di esponenti (teologi e sacerdoti) c. d. tradizionalisti e ha risposto sobriamente e in modo garbato.

Dichiara di essere un uomo e di sbagliare come tutti e ha avuto anche modo di riconoscerlo pubblicamente in colloqui con giornalisti.
Difficilmente i suoi (più) illustri predecessori si sarebbero espressi in maniere analoga.

Ha un approccio con il mondo esterno sicuramente tutto suo, forse anche in termini di semplicità e di attenzione rivolta in particolare a determinati scopi d’ispirazione evangelica che non gli risparmiano neanche -oltre a tutto considerando il difficile, per non dire altro, ambiente socio-organizzativo ecclesiale in cui vive e lavora, drammatiche criticità e scandali sia conseguenti alla sua opera sia in rapporto a scelte, necessariamente quasi mai sicure, di persone e alla connessa fiducia da accreditare ai soggetti individuati.

Le attività e le preoccupazioni papali spaziano, inevitabilmente, in molti campi terricolamente mondani che poco -o meglio nulla, secondo la nota ma non sempre osservata divisione di competenze fra Dio e Cesare (pare, ad esempio, che sia stata indetta una novena per propiziare la rielezione di Trump)- avrebbero a che fare con il Vangelo.

Ho l’impressione che essere papa sia -oggi più che mai, ma la laudatio di tempi passati è sempre, oltre che errore storico, inutile e sterile esercizio- una condizione da fare tremare le vene e i polsi a chiunque: chi sa cosa farebbero, al suo posto, i detrattori.

Ovviamente, per i credenti, la scelta del pontefice, Vicario di Gesù, avviene con la collaborazione dello Spirito e anche quando, come in secoli e tempi bui per l’ecclesia, è sembrato agli storici con il senno del poi rilevare una certa qual Sua disattenzione (absit iniuria verbis) lo Spirito non ha in ogni modo mai cessato di agire, seppure sommessamente, poiché in difetto la ecclesia sarebbe scomparsa da un pezzo come ogni altra e ben più potente istituzione umana.

I credenti, poi, si dividono, come le Gallie, in tre insiemi: quelli voltati all’indietro, quelli che non lo sono ancorché, beninteso, il non essere volti all’indietro costituisca una condizione necessaria ma non sufficiente, e quelli, tutto sommato, indifferenti.

Per i non credenti, invece, il papa è più verosimilmente assimilabile a un capo di stato anche se con competenze altamente spirituali.
In particolare, nella nostra attuale civiltà, il funzionamento pervasivo della comunicazione porta non di rado alla prevalenza dell’apparire sull’essere e dell’effetto annuncio sul lavoro reale.

Vedansi, ad esempio, le fortune altalenanti e gli sprazzi dei ghost writers e consiglieri vari la scelta dei quali, più o meno felice, ha fatto la fortuna o meno di non pochi personaggi pubblici.
Al presente le modalità comunicative sono forse inclinate verso una maggior violenza e volgarità, anche in stretto rapporto con le caratteristiche psico-somatiche dei soggetti che reggono le sorti del mondo, ma la dinamica dell’annuncio rimane comunque prevalente su quanto dovrebbe (nei fatti) seguirlo in quella validazione che solo la vita reale può poi fornire.

E’ vero, sotto questo profilo: Francesco non possiede un’oratoria alata né una retorica che faccia sognare.

All’epoca del confinamento da pandemia, quando era trasmessa ogni mattina alle ore sette la sua messa da S. Marta, Francesco è apparso così come forse è lui più reale, come un sacerdote dai modi semplici e non paludati che però ogni volta, esprime le giuste parole per, in semplicità e brevemente, commentare a memoria le letture o parte di esse in modo comprensibile a chiunque.

Segno di una poetica teologica e pastorale non esibita, ma ben presente nelle esperienze di vita ecclesiastica e non. Poetica peraltro non lontana, come sembra, dalle linee guida del Vangelo che tutto è, ma certo non opera d’arte tradizionalmente intesa.

E con una certa avvertibile differenza, in effetti, rispetto a discorsi maggiormente formali da lui letti da S. Pietro, su testi precedentemente preparati, come ad esempio durante le feste pasquali.

Francesco non è un papa re e fin dall’inizio si è mosso contro corrente lasciando alla storia, anche dell’arte, i regali e sontuosi appartamenti vaticani e scegliendo il bed & breakfast di S. Marta, cosa che lo ha tra l’altro distanziato anche materialmente da più d’un principe della chiesa (forse con qualche disappunto del principe) e che verosimilmente fa costare anche meno, rispetto ai predecessori, il suo mantenimento.

Ma la sostanza è, talvolta, anche forma e questo non credo sia pauperismo (termine che per lo più è usato in funzione dispregiativa): è piuttosto sobrietà e attenzione partecipe alla realtà del mondo la quale sicuramente è caratterizzata da un elevato grado di welfare (chi lo ha, naturalmente) come mai s’è visto in precedenza e da un allungamento della vita media (chi ne è beneficiario, naturalmente) da rendere quasi reali, in proporzione, i biblici patriarchi, ma nondimeno conserva e anzi approfondisce i solchi indecorosi fra i fortunati sì e i fortunati no (o meno): ed è noto che basta un misterioso attimo, ignoto alla scienza, sia per nascere da una parte rispetto a un’altra sia, talvolta, per cambiare in corsa le credenziali (fato, destino, fortuna, casualità, imperizia, inefficienza, disattenzione, dilapidazione, follia…) e per finire la corsa ben iniziata nella pattumiera del mondo.

D’altra parte le osservazioni di ordine storico andrebbero sempre fatte in rapporto all’attualità (relativa) dei singoli scenari contemplati e Francesco, invero, non pretermette né disconosce i progressi, ma avverte circa i tanti che, in conseguenza delle scelte economico-organizzative di taluni, sono de-privati di troppo e, d’altra parte, qualche pensiero nemmeno eccessivamente diverso sembra essere stato espresso, a sentire Matteo e Luca, anche da Chi egli -con tutta la fatica del vivere l’ecclesia- rappresenta, più o meno brillantemente si capisce, sulla terra degli uomini: ciascun papa, in questo come ogni altra creatura, passa da solo attraverso il mistero della propria vita e della sua vocazione da parte dello Spirito.
Non diversamente, sotto un certo profilo e mi si passi la temerarietà, da ogni creatura umana in ricerca lungo la via verso il cielo.

La ecclesia non è un’entità mondana, a parte la sua talvolta evidente eccessiva secolarizzazione, né è chiamata a presentarsi al mondo come luogo o sede di altissima (secondo i parametri umani) presenza o azione religiosa, spirituale e culturale.

Il suo Maestro, unico a poter essere appellato con tale titolo, era (da uomo e -per i credenti- anche da Figlio) semplice e diretto né retore né fine scrittore dato che, a dare retta ai Vangeli, non ha mai scritto neanche una riga a differenza di tanti altri uomini antichi di alta cultura e filosofia e girovagava nella sua missione terrena attorniato da sempliciotti che non brillavano in niente.
(continua)

LMPD

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