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APOCRIFA – In balia di costoro

(la prima parte di questo articolo è stata pubblicata nel precedente numero 150)

L’attenzione circa la rilevanza dei disturbi vari della personalità come delle vere e proprie psico patologie rimane per lo più diretta verso la società in genere (il cui ampio ricorso ad alcool, droghe, psicofarmaci, analgesici è considerato segno delle condizioni medie -e invero migliorabili, se ci si riuscisse- della vita moderna) e, ove per caso diretta verso qualche potente, confinata in dissertazioni accademiche cui la patente di obiettività rispetto al soggetto esaminato è, in linea di massima, proporzionata alla loro distanza nel tempo.

Hanno raccontato degli stati depressivi di Lincoln, della schizofrenia di Deschanel (che nel 1920 divenne presidente della repubblica francese prevalendo democraticamente su Clemanceau, detto il Tigre), delle malattie di Roosvelt, mentre non sembra ancora trascorso il tempo necessario per fare luce sulle condizioni psichiche dei dittatori che pur avendo ridotto in macerie l’Europa e condotto a morte un numero abnorme di sudditi (la follia del Sovietico avendo oltre a tutto fatto razza nel mondo) rimangono nondimeno ancora saldi in ideologie negazioniste.

Prova provata, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell’improba impresa di mettere -almeno un po’- in relativa sicurezza i popoli della Terra rispetto a loro troppo numerosi dubbi rappresentanti.

Recentemente, da noi, il passato presidente Berlusconi fu oggetto di una valutazione (narcisismo) da parte di Cancrini che per essere diagnosi a distanza e per di più a opera di avversario politico lasciò ovviamente a desiderare sotto il profilo della sua validità obiettiva, a parte la competenza professionale in sé dello psichiatra.

E lasciamo stare i riferimenti e le illazioni che si possono tratteggiare con sempre maggiore preoccupazione circa posizioni più o meno certe, sospette o a rischio in (troppe) altre parti del mondo: l’estremo Oriente, il medio Oriente, l’Africa…
Stando però vicini, la biografia appena pubblicata sul primo ministro britannico (T. Bower, The Gambler) attualmente in carica, atta a risvegliare anche gli interessi di esperti da Freud in giù, getta luci inquietanti sulla capacità di conduzione politica concernente un Paese europeo di primissimo piano e le sue relazioni con molti soggetti coinvolti, dalla Brexit alla pandemia e alla crisi mondiale.

Nondimeno è un fatto che gli ordinamenti giuridici -i quali si prendono in carico, peraltro correttamente, la disciplina dell’accesso alla guida degli autoveicoli da parte dei consociati- non si avventurano però mai a considerare coloro che li governano e che, da dietro una scrivania o un microfono, possono causare danni molto maggiori e a una pluralità grandissima di persone, ben peggio (senza con questo volere eccepire) di un ubriaco che guida senza patente o di un armato senza porto d’armi.

I termini più o meno specialistici che gli esperti utilizzano in materia sono di per sé indicativi di quanto può esserci dietro o dentro: ansia, depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, disturbi fobici, schizofrenia, narcisismo, comportamenti disadattivi (angoscia, rabbia, sbalzi d’umore), attitudine alla menzogna, comportamenti di smodata tolleranza verso se stessi e autoassoluzione, paranoie verso gli altri (complottismi, manie di persecuzione) etc.

E per dare ancor meglio l’idea di quanto sia ambiguo e scivoloso questo tema si può ricordare come alcuni autori abbiano perfino espresso l’opinione che numerosi manager e team leader siano, di fatto, psicopatici travestiti capaci, in virtù dei propri disturbi e dell’intelligenza che, di per sé, non è vulnerata (anzi), di affabulare e manipolare altrui a proprio vantaggio.
Costoro poi, gli squilibrati o disturbati, sono in genere più o meno pericolosi non solo perché in grado di commettere atti irresponsabili, ma anche perché non imparano dai propri errori non riconoscendoli come tali: li addebitano infatti ai nemici e comunque all’esterno.

Non sembra, quindi, ci sia salvazione.

Certamente da non esperto, ma all’esito di una lunga e non sempre facile militanza nel lavoro e nei rapporti interpersonali con numerosi soggetti di varia cultura e a vari livelli di responsabilità, sia nelle organizzazioni pubbliche sia private, ho maturato l’idea che il corto circuito del disturbo (non entro in dettagli che lascio a coloro che ne sanno) sia provocato dal contatto con il potere: come ho incontrato persone con le quali era consigliabile evitare di conferire avanzando verso sera la giornata lavorativa, perché pur apparentemente compos mentis non erano poi affidabili nei fatti (ho sempre detestato, per la loro aleatorietà, sia le cene di lavoro sia le trattative notturne), così ho memoria di altre le quali in progressione con il crescere del proprio potere modificavano significativamente in peggio i comportamenti nei confronti del prossimo.
Come se invece di essere e rimanere dei cretini, fossero improvvisamente diventati cretini importanti (non è mia, ma di Guareschi).

Il potere è (sempre) un impegno gravoso che, da un lato, richiede a priori morale, cultura, conoscenze e preparazione adeguata oltre ad attenzione e costante auto-sorveglianza e capacità di mantenere relazioni nel corso del suo esplicarsi evitando la bolla autoreferenziale sempre in agguato dei lecca piedi (ora promossi a yes-men) e, dall’altro, permane in ogni caso denso di pericoli e rischi al pari di una droga e come tale dà anche dipendenza non facile né da individuare né da gestire.

Tornando agli statunitensi, indubbiamente pragmatici sopra ogni altro popolo e in grado di esprimere una libertà di giudizio da noi ignota (in Italia si preferisce ricorrere direttamente all’insulto e a delegittimare il prossimo), si è anche letto che taluno, fra gli esperti di psicologia, faccia raccolta di video del presidente uscente o uscito (definito remarkably narcissistic) per usarli nei workshop e nei seminari specialistici dedicati all’analisi dei comportamenti manipolatori.

Nel merito della questione circa la mancanza di tutele a fronte del pericolo da squilibrio mentale, è evidente che qualsiasi filtro si riuscisse a immaginare possa sempre correre il rischio di essere usato anche in malam partem.
Sappiamo infatti che ogni legge, per buona che sia e perfino quando divina, è appesa agli uomini e quindi facilmente pervertibile dalle mani di chi è in mala fede.

Prospettiva poi aggravata, nella sostanza, altresì dalla possibile difficoltà di certezza diagnostica (sovente il confine da individuare è confuso da apparente normalità), onde una pur auspicabile forma di tutela preventiva sarebbe in ogni caso destinata a operare in modo approssimativo, cioè individuando solo gli aspetti più eclatanti e palesi.

Ma sarebbe già, piuttosto che niente, un gradino rilevante per un consorzio civile trovare vie di accesso a modalità, per quanto minime, di sufficiente garanzia uguali per coloro che intendono o sono chiamati a partecipare ai più importanti processi direttivi e decisionali sensibili.

Il diritto alla riservatezza della persona è senza dubbio fondamentale, ma con le garanzie pur più stringenti chi aspira a posizioni di elevato potere (e non solo politico) dovrebbe essere disposto a farsi tenere, per quanto possibile, sotto qualche (seria) forma controllo: come ci si preoccupa infatti di blindare le condizioni psico-fisiche del pilota d’aereo, così non si dovrebbe abbandonare del tutto nel campo dell’utopia la risposta, quantomeno sussidiaria e forse non mai certa, ma legittima e, almeno in talune circostanze, perfino socialmente e politicamente doverosa all’antica esortazione dell’oracolo di Delfi (Conosci te stesso): lo squilibrato rifugge per definizione dal darle riscontro o, se lo fa, è per incensarsi o autoassolversi, ma la società dovrebbe, nel proprio interesse o, perfino, per un (vago) diritto alla sopravvivenza, quantomeno iniziare a provarci.

Memore, il civile consorzio, di antichi moniti forse preoccupanti, nella loro fredda necessarietà e per tale ragione odiosi ai potenti di turno, che si credono eterni, risalenti sia alla civiltà omerica (VIII-VI a. C.):

  • […] simili alle foglie sono gli uomini (miserabili): ora fioriscono e mangiano i frutti del campo, domani languiscono e muoiono (Iliade, XXI, 463-466);
  • Tidìde magnanimo, perché domandi la stirpe? Come infatti le stirpi delle foglie, così quelle degli uomini: esse infatti alcune il vento abbatte verso il nero suolo, altre nutre la selva in fiore nel tempo di primavera; così le stirpi degli uomini: una nasce, l’altra scompare (Iliade, VI, 145-149);

sia alla civiltà giudaica (X-VI a. C.):

  • […] l’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa (Salmo 144, 4);
  • […] sono come l’erba che germoglia: al mattino fiorisce e germoglia, alla sera è falciata e secca (Salmo 90, 5-6).

L’alternativa è, come sempre (la speranza è l’ultima a morire, ma alla fine muore anche lei), confidare negli anticorpi sani della società: però la strada è lunga e bisogna ripartire da lontano, dalla cultura e dall’etica. Specialmente là dove le regole, in particolare morali, non ci sono o non sono percepite o vengono facilmente disattese, sarà pur nobile attesa, ma di dubbia efficacia.

LMPD

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