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APOCRIFA – Democrazia liquida

Essendo oramai definita, negli USA, la vittoria elettorale dello sfidante, gli interessi della nostra stampa sono tornati principalmente ad accentrarsi sui fatti di casa, ma ciò non toglie che la situazione americana possa continuare a essere considerata sorprendente.
Per lo meno partendo dal presupposto che gli Stati Uniti sono in effetti, a livello politico, una democrazia e a livello più generale una nazione cui molti devono molto.
Basti pensare al progresso della scienza e della tecnica che ha avuto, e continua ad avere, colà il suo habitat forse più specificamente generalizzato oltre che efficace.

Gli europei, che dell’America del nord sono i genitori sebbene all’insegna del mater semper certa est e della pluralità dei padri di varia (anche dubbia) provenienza, tendono, e non da oggi per causa di Trump, ad avere con gli USA un rapporto di luci e ombre abbastanza cangiante, nel suo dinamismo, ma tutto sommato comprensibile.

Gli Usa, grazie alla loro organizzazione socio-economica (comprendente anche la cultura) e sviluppo produttivo in modalità e misura che comunque in Europa non sarebbe ben accetta, realizzano una capacità operativa in generale che li fa normalmente arrivare primi e in condizione di trasferire agli altri.
Cosa che come è naturale di solito è, da un lato, presa al volo e, dall’altro, causa di invidie e rancori che non di rado tendono a incistarsi.

Allo stato, in questo periodo di transizione a livello istituzionale che si sta svolgendo in modalità singolari, quantomeno ai nostri occhi, gli USA presentano una lacuna normativa non marginale: un presidente uscente che non se ne vuole andare gridando al broglio elettorale, nonostante sia smentito anche da esponenti in carica, nei vari Stati dell’Unione, del proprio partito e uno entrante che ancora presidente non è, ma che ha iniziato pragmaticamente a muoversi come tale.

Il primo, asserragliato nella sua ridotta, licenzia a tutto spiano a suon di tweet, strumentazione che ha all’evidenza, ma non solo negli USA, sostituito le ben più farraginose procedure scritte, i suoi ex beniamini rei di non proteggerlo dalle incursioni nemiche ed evidentemente considerati non tanto al servizio dello Stato, quanto di se stesso; il secondo in fiduciosa attesa che maturino gli eventi.

Una situazione analoga da noi sarebbe (è) impensabile.
Tra l’altro l’esercito, che negli USA ha un peso reale, si è subito dichiaratamente sfilato da tentativi, peraltro maldestri, di inguaiarlo in atteggiamenti e responsabilità che non gli competono e questo atteggiamento di garanzia, considerate le dubbie parti regolarmente fatte dai militari, ieri e oggi, in giro nel mondo suona come un vero principio di democrazia da prendere a esempio.

Il sistema elettorale americano è vecchio, adatto a una società più contenuta nelle dimensioni quanti-qualitative e mostra, oltre all’età, delle crepe che probabilmente, un tempo, non erano state considerate tali o, al contrario, lasciate proprio in aderenza al comune denominatore democratico che si dava in ogni caso per presente e scontato anche fra avversari e contendenti (non nemici) politici.
Ora le cose sono cambiate e può darsi che dopo questa esperienza non certo degna di memoria storica, ma in ogni caso istruttiva, i cittadini d’oltre oceano si muovano per aggiornare un po’ anche le patrie tradizioni alla base del loro sistema.

Abituati come siamo, per esempio in Italia, alle trombonate di politicanti che ci hanno, in un certo senso, vaccinati di disincanto e forse anche di un po’ di cinismo (in senso etimologico: da Diogene il cane) osserviamo anche con stupore, chiedendoci forse quali ne siano le cause, le parabole discendenti di persone, che peraltro hanno vissuto tempi assai diversi dimostrando di avere (quantomeno avuto) qualità e capacità, le quali si ostinano a rappresentare il niente cercando temerariamente di spacciarlo per vero.

L‘immagine penosa fino al fastidio del legale (al tempo delle Torri Gemelle nominato ‘uomo dell’anno’) del past presidente che, in tutto simile al suo capo quanto alla capacità di montare la panna, nella conferenza stampa al quartier generale dei repubblicani si affanna a concionare con lo sguardo allucinato mentre il trucco dei capelli gli si scioglie sotto il caldo (saggi gli uomini che evitano di truccarsi) e gli cola sulle guance diviene anche metafora di un troppo sovente dimenticato conosci te stesso destinato a girare a vuoto a causa della supponenza generalizzata, ma colpevolmente presentata come necessario o indispensabile bagaglio civico-professionale per chi aspira a governare gli altri.

L’esortazione delfica era (e peraltro permane) valida a considerare non solo i propri personali limiti in sé, ma anche, in prospettiva essenzialmente religiosa, i limiti da non oltrepassare per non offendere il dio con la presunzione e la iattanza foriera di molti mali dato che gli antichi consideravano l’uomo sia come individuo sia come appartenente attivo della pòlis: modernamente potremmo dire che oggetto necessario del conosci te stesso siano, in rapporto alle proprie reali capacità, i contenuti delle relazioni interpersonali la cui carenza o crisi corrisponde a umana regressione, mentre per gli antichi l’obiettivo da perseguire era piuttosto l’equilibrio della saggezza e la conseguente sobrietà e moderazione.

Va da sé che l’oracolo, oltre alla meritata fortuna filosofica sui libri, è sempre stato appannaggio, nella vita, di una minoranza che però forse oggi, a motivo dell’eccesso delle fonti di comunicazione e dell’accresciuto frastuono, non sembra esistere o presentarsi più neanche come minoranza.

Che milioni e milioni di cittadini negli USA abbiano quattro anni fa votato per Trump è un fatto storico (anche i democratici ci misero del loro insistendo, in altero manicheismo, a contrapporre allo sconosciuto vociante alto-crinito una figura tutt’altro che entusiasmante e usurata), ma che appena in poco meno abbiano nuovamente votato per la stessa persona, dopo che questa ha avuto ampio modo di mostrare a chiunque chi fosse e come si comportasse, è un aspetto non indifferente che forse spiega come mai la democrazia sia per definizione sempre a rischio e non possa contare, per sopravvivere, su regole formali pur anche di rango costituzionale quanto piuttosto sul permanere dello spirito adatto, necessario e sufficiente, nella maggioranza dei consociati disposti e risoluti a tenerla viva.

Coloro che la inventarono infatti, quando non ne furono più degni, di democrazia morirono.

LMPD

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