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EDITORIALE – In attesa del Natale

Sono iniziate da giorni le grandi manovre di natale (non di Natale, che è -per fortuna- tutt’altro) che auspicabilmente condurranno al libero shopping in libero territorio, con le scuole -di cui non si tratta- lasciate nel medesimo limbo della attenzione riservata alla cultura in genere, allo stesso tempo mantenendo alta -vedremo poi come- la guardia per via del Covid il  quale si comporta, suggeriscono i dati, al pari delle meduse nell’acqua: si gonfia, si sgonfia, pare fermo eppur si muove.

L’importante sembra sia arrivare all’Epifania e poi, finite le festività, se ci sarà una ripresa epidemica (l’OMS  parla di una terza ondata, come pare già in atto in Corea del sud), si darà la colpa ai panettoni o ai campi di sci e si riprenderà ad accusarsi a vicenda di non avere tenuto chiuso abbastanza.

E poiché siamo immersi nella civiltà della comunicazione, ecco che talune delle modalità utilizzate dai reggenti la Repubblica richiamano alla mente quando, allo Zoo, per fare divertire i bambini prima si mostrava il pesce alle foche, che accorrevano entusiaste riempiendo l’aria di gioiosi latrati, e quindi glielo si lanciava in acqua, più lontano possibile, onde divertirsi per i tuffi e le evoluzioni in cui si concretava la zuffa conseguente.

L’ultimo DPCM, forse ancora il tredicesimo della serie se, mentre è in uscita questo numero, non ne pubblicano un altro, con l’introduzione del coprifuoco al posto del confinamento (lockdown per i colti che sanno le lingue), era accompagnato dall’obiettivo di giungere al periodo natalizio in stato di relativa maggior tranquillità acquisita per il tramite, appunto, delle nuove limitazioni imposte dalla colorazione delle Regioni.

Allo scopo di smorzare un po’ le montanti aspettative di quanti, usi ad afferrare il braccio dopo il dito, già allargavano  gli orizzonti nonostante qualche menagramo, in campo medico-scientifico, avvertisse che l’infezione sarebbe comunque rimasta anche nei prossimi mesi, taluni esponenti governativi si sono  lanciati in pericolosi equilibrismi intorno al criterio più idoneo a limitare l’afflusso alle feste casalinghe e in tal modo provvedendo a riesumare la parentela di primo grado (e a sorprendente pretermettere una delle ultime conquiste sociali che è la famiglia allargata) la quale si aggiungerebbe quindi alla, sempre disponibile, delazione ai carabinieri (i vigili sono normalmente più difficili da contattare) da parte dei vicini, siano costoro ortodossi osservanti della normativa e pertanto solleciti del bene comune oppure semplicemente invidiosi.

Nel frattempo, gli ispettori ministeriali corrono trafelati da una Regione all’altra poiché pare che nei territori sia invalso il vizietto di non verificare più di tanto i dati che si forniscono al centro e quindi si trae l’impressione che il sistema sanitario, basato sulle autonomie regionali, oltre a non dare cure  sempre sufficienti tenda altresì a dare i numeri.

L’altalena continua, e continuerà con altre puntate, giacché mentre nella passata prima fase la preoccupazione maggiormente condivisa pareva quella di salvare la pelle, anche se a morire erano sempre gli altri (in particolare coloro che per definizione sono comunque già da tempo in lista d’attesa: i vecchi), in questa seconda fase sembrano verosimilmente più importanti i soldi e lo si comprende.

La rincorsa agli aiuti pubblici, con uno Stato già prima in grave difficoltà, assume toni da assalto alla diligenza, ma come le magistrali scene di John Ford ricordano non tutti i partecipanti riescono sempre a rimanere a cavallo e proseguire la corsa.
Inoltre, mentre le case farmaceutiche e i laboratori fanno a gara a pronosticare il prossimo avvento dei vaccini contendendo sulle rispettive percentuali di efficacia (91, 92, 95% etc) ecco che la notizia domenicale, della scienziata che scoprì il virus isolandolo, avverte (e il suo ragionamento scorre più logico oltre che più rispettoso dell’ignoto che ci circonda delle sicurezze e presunzioni di altri) come il virus medesimo non solo purtroppo rimarrà, ma potrà perfino accadere che i vaccini stessi varranno quel che potranno, al pari degli annuali antiinfluenzali, e sarà necessario modificare comunque i nostri comportamenti.

Insomma indietro non si torna a diamo quindi addio alle buone vecchie influenze di un tempo che con mal d’ossa, febbre, tosse e raffreddore ci facevano prendere una quasi amichevole pausa dal lavoro, in compagnia di aspirina, libri e latte con il rhum.

I media comunque, da parte loro, cooperano tenacemente alla chiarezza dell’informazione verso le greggi utilizzando l’usato schema per cui, ogni giorno, l’esperto di turno esce a dire diversamente o l’opposto rispetto a quello di ieri, e poiché l’infezione ha portato allo scoperto una quantità quasi impensabile di scienziati evidentemente in grado di stare sul pezzo, sebbene presso che ignoto alla scienza, con buona pace di quei quattro gatti che lamentano troppo scarsi investimenti nella italica ricerca, la giostra continua imperterrita.

E quando torna a parlare chi è già intervenuto, la gente non se lo ricorda nemmeno più ed è quindi sempre una (certa) novità.

 

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