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APOCRIFA – Pro tempore

Una delle ultime, forse l’ultima proprio, fotografia del primo ministro uscente lo raffigura all’aperto, in maschera regolamentare e dietro a un tavolino irto di microfoni, mentre rivolge una sua allocuzione a ignoti lontani e (anche) presenti che però nemmeno sono visibili. E a differenza di tante altre precedenti immagini, nessuno gli sta intorno.

Per associazione di idee la memoria risale ad altri eventi simili.

Per esempio, al capo della prima Lega al tavolo, forse, di una festa di partito quando si era oramai all’epilogo degli eventi: contornato da un vuoto di militanti e amici che non gli stava dietro neanche la quarantena da Covid.

O a Mrs. Clinton dopo la sconfitta alle penultime presidenziali USA, ritratta in casual (vero) e senza i miracoli del trucco a un solitario breakfast in una residenza fuori città: neanche il classico gatto da qualche parte.

Non si hanno tracce, al presente, dell’esagitato passato presidente USA che, per di più, è stato pure zittito (alquanto vilmente, invero, ma il calcio del mulo è tipico sia degli ipocriti sia degli ingrati) dai social i quali lo hanno costretto a una sconosciuta quanto imprevedibile afonia.
E si potrebbe continuare.

Così è nelle situazioni, per quanto imperfette, governate dalla democrazia, mentre ove brilla il faro della tirannide il finale del potente di turno, pur sempre solitario, è di norma più fosco, ma analogamente non meno repentino (dalla fuga notturna al tavolo della morgue).

Il pro tempore (‘per un certo tempo’), locuzione latina usata come avverbio e aggettivo nel linguaggio legale e amministrativo per indicare la temporaneità e pertanto sbrigativamente confinata in un recinto tecnico, è viceversa, sia o meno riconosciuta per tale, la palafitta che orizzontalmente collega tutta l’intera esistenza degli esseri umani.

E come tutte le cose della vita anche il potere e la potenza politica sono pro tempore: da condizioni radicate nelle apparenti certezze dei consensi, degli indici di gradimento e delle alleanze così come allietate e fortificate nei codazzi osannanti dei clientes e degli opportunisti di ogni colore, tempra e orario esse volgono nondimeno alla deriva nel giro di un giorno e basta, al compiersi del tutto, anche un refolo di vento.

Il Vangelo da oltre duemila anni avverte ciascuno e, in particolare, colui che è giunto al vertice e si sente pertanto molto sicuro (Lc 12,20: Stulte, hac nocte animam tuam repetunt a te: stolto, questa sera ti è richiesta la tua vita), ma forse non tutti lo hanno letto o se lo ricordano o piuttosto ritengono che l’esortazione (non solo questa) sia bensì saggia, ma da rivolgere agli altri.

Invece il pro tempore è la realtà dell’esistenza sulla terra in tutte le sue manifestazioni e, lungi dall’indurre fatalismo o rinuncia, suggerisce -proprio in virtù della sua istituzionale limitatezza temporale e comunque dell’incombere dell’imprevisto (ricordate l’inquietante colloquio di Woland con Berlioz, il presidente della Massolit, allo Stagno dei Patriarchi in apertura de ‘Il Maestro e Margherita’ di Bulgakov?)- un’operatività improntata a consapevolezza e temperanza che, da un lato, preserverebbe l’azione dall’esagerazione temeraria e dall’esagitato ridicolo (quasi sempre presente nei chiaroscuri del potere) e, dall’altro, renderebbe esercitabile la capacità di riconoscere non solo gli errori altrui, ma anche propri.

In assenza di che non esiste prospettiva di miglioramento reale: solo circo.

Gli stoici vedevano la persona del saggio connotata dalla triplice azione della sobrietà/temperanza, giustizia e pietà (pietas) e sarà pur vero che non sono, nemmeno loro, riusciti a cambiare il mondo, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle persone senza volto, nome e voce sulle gambe e nelle teste delle quali continua a procedere in qualche modo e a singhiozzo la civiltà applicano più o meno gli stessi principi.
Pur, nel caso, chiamandoli altrimenti o diversamente identificandoli.

Il potere e il suo esercizio attirano e seducono molti, sovente per il tramite di un processo di selezione che agisce non riconoscendo tanto il merito o le capacità quanto premiando l’apparenza e la capacità d’inganno, e quindi, più o meno rapidamente, trasformano sovente l’individuo (anche se si danno fortunatamente casi contrari) poiché lo obbligano, se vuole avanzare verso l’obiettivo, a un contratto di scambio a causa quasi sempre illecita: farsi sempre più rilevanti sconti di natura etico-morale (a cominciare dall’uso della menzogna) e sottostare alle sue regole non scritte e a pagare tutti i vari dazi imposti per entrare nelle innumerevoli porte, porticine e varchi del palazzo e per attraversarne le teorie di stanze, stanzini e bugigattoli alla ricerca delle sale illuminate dai lampadari Burano ove infine soggiornare.

Hic manebimus e, aggiungiamo con Montale, se vi piace non proprio ottimamente per l’esercizio del potere medesimo.

Pro tempore, ovviamente, anche se pochi sembrano ricordarselo.

LMPD

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