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EDITORIALE – Prima le parole o prima i fatti?

Domanda retorica quanto mai dato che per apparire sui media sono più che sufficienti le dichiarazioni e le manifestazioni d’intento.
Ricordando che per la somministrazione dei vaccini contro il SARS-CoV-2 è in vigore, dal 1 gennaio 2021, l’art. 1, comma 465, della legge n. 178/2020, alias ‘Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2021 etc etc’, a mente del quale la prestazione […] è effettuata presso le strutture individuate dal Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure occorrenti per il contenimento e il contrasto dell’emergenza epidemiologica COVID-19… nello scorso mese di marzo è stato realizzato un sondaggio fra le imprese italiane, a cura di Confindustria.

Lo scopo dichiarato era di far emergere le disponibilità, da parte del sistema delle imprese sul territorio nazionale, a mettere a disposizione spazi aziendali per procedere, nel prossimo futuro, alle vaccinazioni e i risultati ottenuti sono stati confortanti: hanno infatti risposto all’appello, teso a mappare i siti aziendali in termini di possibili luoghi di operazione, praticamente tutti i settori produttivi (oltre settemila soggetti imprenditoriali: pubblici, privati e anche grandi cooperative) mettendo a disposizione spazi di ogni tipo (capannoni, uffici, terminal aeroportuali, porti, stazioni ferroviarie, alberghi, ippodromi, palestre…) per oltre 10.000 spazi/locali offerti anche per periodi superiori a 3 mesi.

Segno che esiste nel tessuto delle imprese una forte sensibilità sull’argomento fondamentale della vaccinazione di massa (l’obiettivo stimato da Confindustria è giungere a vaccinare 12,5 milioni di persone) e della necessità di rafforzare, per quanto possibile, la campagna vaccinale nazionale offrendole una significativa opzione in termini di possibile ampliamento operativo.

Se non che per passare dalla (rosea) teoria alla (dura) pratica serve necessariamente il quadro regolamentare di riferimento, non esattamente banale, che ancora manca e quindi bisogna attendere che venga definito da parte del governo un protocollo nazionale o una regolamentazione quadro per le vaccinazioni in fabbrica.

A parte, infatti, i molteplici e non marginali aspetti connessi alle condizioni tecnico-sanitarie, mediche e di sicurezza obbligatorie per i siti aziendali che saranno individuati all’uopo dal Commissario, va tenuto presente che il progettato allargamento operativo andrà ad affiancarsi allo schema del Piano nazionale e ai suoi criteri onde dovrà essere opportunamente disciplinato e coordinato per non provocare interferenze o sovrapposizioni.

Una situazione, in sostanza, non troppo dissimile mutatis mutandis da quando una norma abbisogna poi di necessari decreti attuativi per non rimanere teorica, ma diventare operativa.

Allo stesso tempo questa ampia fascia di disponibilità, ottenuta in breve, ma non vincolante e in assenza (ancora) di conoscere obblighi e oneri connessi, si vedrà quanti e quali dei settemila soggetti propostisi si impegneranno nella realizzazione, potrebbe anche rivelarsi, in una con il dispiego di civiche virtù, un’abile iniziativa promozionale a km 0 volta ad acquisire (facili) meriti da far valere su tavoli governativi altri rispetto a quello del Covid.

La necessità, poi, di un previo e chiaro concerto secondo il quale operare ciascuno nella propria responsabilità si appalesa, se possibile, ancor più pregiudiziale ove si allarghi la considerazione, come conviene, anche ai Piani regionali.

In questo campo, per esempio, la politica al governo della Lombardia, incanutita al fumo di numerose traversie in materia sanitaria che ne hanno appannato l’immagine oltre alla tradizionale efficacia, ha inteso bruciare le tappe con una Delibera di Giunta (n. 4401 dello scorso 10 marzo) a mente della quale è stato approvato lo schema di un protocollo d’intesa finalizzato all’estensione della campagna vaccinale anti Covid-19 alle aziende produttive (chi sa mai quali saranno le non produttive da escludere) lombarde quale valido strumento di collaborazione fra le aziende stesse, rappresentate dal sistema associativo, ANMA e Servizio sanitario regionale a garanzia di un più efficace contrasto alla diffusione del virus Sars CoV 2.

L’iniziativa, con possibile attuazione anche mediante un progetto pilota allo stato non meglio chiarito, è riservata alle aziende con sede in Lombardia, prevede la somministrazione del vaccino da parte del medico competente (resosi disponibile) e riguarda solo i lavoratori delle aziende medesime iscritti al servizio sanitario lombardo che volontariamente aderiscono all’offerta.

Anche questa iniziativa regionale costituisce un ulteriore canale di somministrazione delle vaccinazioni che non supera, ovviamente, le priorità individuate a livello nazionale e nemmeno i criteri previsti nel Piano regionale vaccini che rimangono integralmente confermate e rispettate.

Di tanto viene data comunicazione al Commissario straordinario ai sensi del più sopra richiamato articolo 1, comma 465 della legge 178/2020 (come già detto a lui compete l’individuazione delle strutture).

Il Protocollo è firmato, per ora, da Confindustria Lombardia, Confapi (che se ne intesta la paternità avendo a suo tempo lanciato il primo sasso in piccionaia) e dall’Associazione Nazionale Medici di Azienda e Competenti (ANMA).

Come si vede o si intuisce, in questo significativo e un po’ affannoso intrecciarsi di annunziate iniziative (altresì denominate, più tecnicamente, sinergie e interazioni istituzionali) un solido e chiaro modello organizzativo centrale che, in termini di efficacia ed efficienza, distribuisca compiti e responsabilità onde evitare sovrapposizioni o lacune sarebbe del tutto raccomandabile e dovrebbe essere realizzato al più presto.

Costituirebbe il fatto su cui appoggiare, volendo, anche le parole.

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