HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO – Il cinema ritrovato

L’APPROFONDIMENTO – Il cinema ritrovato

Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de ‘Il Cinema ritrovato’, continuiamo a pubblicare alcune pennellate sulla scuola francese (storicamente sorta con gli inventori Lumière) a cura di un cinèfilo che la conosce sia nella cultura generale sia nei suoi protagonisti.

 

Francois Truffaut, cineasta
(Parigi, 6 febbraio 1932 – Parigi, 21 ottobre 1984)

La femme d’à cotè (La signora dalla porta accanto), di Francois Truffaut (1981).

Dopo dieci anni di lontananza due ex amanti (G. Depardieu e F. Ardant) si re-incontrano vicini di casa.
Entrambi sposati, riprendono il loro antico ménage che in breve tempo sfocerà nella violenza.

Che si possa rivivere la stessa esperienza è un’illusione che conduce a un esito tragico. Lei nel corso del burrascoso sodalizio cadrà in preda a crisi nervose, sarà ricoverata in clinica e in seguito ucciderà l’amante a colpi di pistola.

Si ripropone un tema, assai caro al nostro Francois, ovvero quello dell’amour fou, dell’incontrollabilità della passione amorosa e del potere (auto)distruttivo dell’Eros, della passione eccessiva e ossessiva, qui non a senso unico, ma condivisa dai due protagonisti.
Entrambi hanno una vita coniugale e affettiva tranquilla.

Ma il violento emergere della passione rompe il compromesso della quieta monotonia e costringe i protagonisti a immergersi nell’assoluto che tutto avvolge e distrugge, nell’assoluto che si esterna in un amore connotato di furia cieca destinato a sfociare nella tragedia.
Da un lato Truffaut sembra darci l’immagina dell’impossibilità della sopravvivenza della vita di coppia, sia essa vissuta con leggerezza che consumata con ossessione.

Dall’altra pare ci indichi la prospettiva che, forse, per sopravvivere non bisogna prendere il sesso e i sentimenti troppo seriamente; proprio per evitare la tragedia.

Emblematico il personaggio di Odile, la narratrice dei fatti nel film, la cui invalidità è conseguenza del tentato suicidio compiuto dopo essere stata abbandonata dal suo amante: e quando questi torna a trovarla lei fugge a Parigi per non incontralo, consapevole che riallacciare la relazione sarebbe stata solo causa di sofferenza.

Durante la lavorazione del film Francois si innamora dell’attrice protagonista, Fanny Ardant (sarà il suo ultimo amore), che dirigerà ancora nel suo ultimo film “Finalmente domenica” (1983) e dalla quale ha una figlia, Joséphine, nata il 28 settembre 1983.

L’homme qui aimait les femmes (L’uomo che amava le donne), di Francois Truffaut (1977).

Il film si apre con il funerale di Bertrand Morane (Charles Denner), un ingegnere collaudatore di modelli di aerei e barche.
Al funerale sono presenti solo donne.

La storia di Bertrand è il dispiegarsi di una ossessione totale: inesorabilmente Bertrand va a caccia di donne.
Ed è raccontata, con la tecnica del flashback, da Geneviève Bigey editrice delle sue memorie che narrano di tutti i suoi incontri femminili, delle tecniche di approccio utilizzate, dei profili fisici e umorali delle sue conquiste. Per il resto l’ingegnere è solitario e introverso e salvo le donne, anzi le conquiste femminili, non ha altri interessi.

Geneviève, ricevute le bozze del libro, a differenza di altri editori decide di pubblicarlo e diventa a sua volta una delle sue amanti, la sua ultima amante.

E’ Natale e Geneviève è al momento assente; Bertrand che non vuole restare solo segue una donna vista per strada e viene investito da un auto, ricoverato in ospedale si risveglia e, alla vista delle gambe di una infermiera, cerca di alzarsi per raggiungerla, ma si stacca il cavo della macchina cui è attaccato e muore.

Bertrand è un seduttore incallito.

E’ ossessionato dalle belle gambe femminili, dal fruscio delle calze di nylon, dall’oscillazione dei fianchi avvolti da gonne morbide e ampie. Quando ha girato questo film Truffaut era consapevole che sarebbe stato criticato dalle femministe, ma non se ne dolse.

Voleva raccontare l’ossessione maschile nei confronti delle donne (novellando a modo suo l’archetipo così ben dispiegato da Mozart nel Don Giovanni) e sapeva che avrebbe dovuto pagarne lo scotto in quanto uomo appartenente a una generazione (erede di generazioni) che così carnalmente aveva interpretato il rapporto col mondo femminile.

Nella scena finale del film, al funerale di Bertrand, ognuna delle sue donne si sofferma a turno sulla sua bara, gettandovi sopra una manciata di terra o un fiore. Lui ammira dalla parte delle radici le gambe delle sue amanti che si muovono quasi danzando intorno alla sua ultima dimora.

Di Bertrand cosa rimarrà alla fine?
Grazie all’aiuto della sua ultima conquista, Geneviève, resterà il libro autobiografico che verrà dato alle stampe, testimonianza tangibile di un uomo non qualunque, ma di un uomo che amava le donne.

 

Antonello Nessi
(Altre note sul cinema francese dello stesso autore sono state pubblicate nei precedenti numeri 154, 155, 158, 159)

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