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APOCRIFA – Ciàcole e distintivo

Premesso che chi scrive non è mai ruzzolato giù dal Ponte della Costituzione, a Venezia, per essere inciampato in un gradino o scivolato su qualcuna delle molteplici lastre di vetro dal colore dell’acqua che lo compongono le quali, inoffensive con il tempo secco diventano viceversa infide alquanto se bagnate, si sa che la laguna è umida e traditrice, o peggio ancora gelate e premesso altresì che non ce l’ha neanche su (come si suol dire) con gli archistar, se mai con chi li sceglie, ha comunque valutato con un certo sollievo che il Comune della città lagunare abbia stanziato mezzo milione per sostituire la vitrea copertura con lastre di pietra.

La notizia è passata in sordina allo spirare dello scorso mese di dicembre, ben diversamente e ancora inguaiato di suo nel perdurare dell’infezione, non è certo bella, ma da accogliere al pari di un inevitabilmente e necessario sospiro finale.

Finalmente.

Mandiamo quindi una mesta (anche per quanto è costato in termini di pubblico denaro oltre ai molteplici incidenti occorsi agli sventurati passanti che si sono nel tempo infortunati) partecipazione di commiato al quarto (e Deo gratias anche ultimo in ordine cronologico) ponte sul Canal Grande, nume tutelare dell’antica città costruita su palafitte che di ponti e ponticelli abbisogna per la circolazione pedonale urbana e che è arrivata ad averne in servizio, fra grandi e piccoli, oltre quattrocento.

Ma tutti con gradini omogenei e della medesima alzata, che consentono perfino di camminarvi sopra distratti o leggendo- al contrario del Ponte della Costituzione il cui impianto architettonico ha viceversa postulato gruppi di gradini galeotti ad alzate diverse.

Riconosciamo che il manufatto, peraltro di per sé esteticamente bello, adibito al collegamento fra la stazione ferroviaria e Piazzale Roma, già trovasi in zona bruttarella e poco eccitante, dove Venezia quasi non è ancora (o non più) neanche Venezia e che il suo ruolo, oltre s’intende a traghettare nei due sensi fiumane di pedoni e a farsi guardare, si estende a offrire una fantastica anteprima di veduta sull’addentrarsi sornione e abbisciolato del Canal Grande, appunto, verso San Simeon Piccolo e il Ponte degli Scalzi.

Progetto omaggiato nel 1997 dall’architetto e ingegnere Calatrava alla città, in persona dell’allora sindaco Cacciari, approvato definitivamente nel 2001, lavori assegnati con gara nel 2002 e iniziati nel 2003, problemi intervenuti di varia natura (di ordine tecnico e non, come l’accesso ai disabili cui venne prima burocraticamente sanato il vizio della barriera architettonica con l’indicazione di usare il vaporetto per attraversare il Canalasso e poi messa a disposizione un’ovovia parallela e raccogliticcia, costata altri due milioni, ma inutilizzata per criticità varie) e conseguenti interventi non previsti furono, italico more, causa di dilatazione di tempi (era stato stimato un anno e mezzo di lavori) e di costi (da poco meno di sei milioni a più del doppio: i dati reperibili sui media variano considerevolmente).

L’inchiesta giudiziaria archiviò la vicenda analizzata sotto il profilo penale ma con una relazione del procuratore che faceva riferimento a gravissimi errori caratterizzanti sia la fase progettuale sia quella esecutiva, sia quella relativa allo stesso bando di gara, rappresentativi di una radicale incapacità, diffusa in vari settori della pubblica amministrazione e dell’impresa aggiudicataria, di comprendere la complessità tecnica di un’opera così ambiziosa, errori ripetutisi in una sorta di clonazione esponenziale che ha dilatato i tempi di realizzazione e i costi dell’opera.

Aperta al traffico nella notte dell’11 settembre 2008 l’opera, che intendeva simbolizzare  l’unione di Venezia con la modernità, fu acclamata worldwide in particolare (talvolta succede) da coloro che a differenza di locali, pendolari e turisti non hanno occasione o necessità di usarla nella sua funzione più pedestre: per passarci sopra.

Ora, dopo tante e numerose polemiche, contestazioni e contenziosi anche giudiziari (il Comune intendeva, tra l’altro, chiedere i danni al progettista), al ponte saranno levate le parti in vetro, tra l’altro soggette a rotture e onerosa manutenzione, in pratica la quasi totalità della copertura calpestabile, e sostituite con lastre di trachite (presenti ora solo nello stretto corridoio centrale del ponte), roccia vulcanica che si estrae fin dall’antichità (silex) nella zona dei Colli Euganei (oltre che in Sardegna) e così denominata dall’Ottocento, ma in precedenza già ben nota alla Serenissima per le sue doti, fra l’altro, antisdrucciolevoli dato che è finemente porosa onde, chiamata al tempo masegna, venne largamente usata, dopo la pietra d’Istria, in blocchi lavorati e intagliati (masegni) per realizzare le caratteristiche pavimentazioni della città -dalle calli a piazza San Marco- che nel Settecento sostituirono la precedente e antica pavimentazione in cotto a spina di pesce.

Venezia si incontra con la modernità quindi, e -almeno per un momento- torna silenziosamente al passato che l’ha fatta grande nel corso dei numerosi secoli a motivo, non ultimo (si distingueva perfino nell’uso del calendario facendo iniziare –more veneto– l’anno in data primo marzo), di un governo e di una pubblica amministrazione competente oltre che attenta, efficace ed efficiente.

Consideriamo, a esempio, il Magistrato alle acque (quello originale, s’intende), organo collettivo ad onta del suo nome, cui spettava l’autorità su tutte le opere di difesa e manutenzione della laguna, fiumi compresi, e la esercitava non a parole, ma concretamente garantendo nel tempo la sopravvivenza della città e consegnandola ai posteri in buone condizioni.

La Repubblica italiana, mantenendone la sede a Venezia come organo decentrato, collocò la Magistratura nel Ministero dei lavori pubblici, poi Ministero dei trasporti e delle infrastrutture.

E fermiamoci qui perché se no arriviamo al Mose.

 

LMPD

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