HomeDialogandoNewsletterApocrifaAPOCRIFA – Presunto innocente (presentato colpevole)

APOCRIFA – Presunto innocente (presentato colpevole)

Nello scorso dicembre è entrato in vigore un decreto legislativo (8 novembre 2021, n. 188), con il quale il nostro Parlamento ha adeguato la normativa nazionale alle disposizioni contenute nella Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza.

L’adozione del provvedimento è stata indotta dalla ragionevole possibilità di una procedura d’infrazione (art. 258 del TFUE) per non avere adeguato la legislazione  italiana nel termine stabilito (1° aprile 2018) ai criteri della direttiva europea (il governo aveva in un primo tempo giudicato l’ordinamento già conforme al provvedimento comunitario, ma è stato contraddetto dalla Relazione della Commissione al Parlamento Europeo e al Consiglio sull’attuazione della Direttiva in parola).

In particolare, i punti maggiormente critici erano stati individuati, nella Relazione comunitaria, ai riferimenti in pubblico alla colpevolezza di soggetti indagati o imputati e alla loro presentazione come colpevoli, in tribunale o in pubblico, attraverso il ricorso a misure di coercizione fisica.

La recente scomparsa della figlia Silvia di Enzo Tortora ha riportato alla memoria collettiva il comportamento tenuto dai pubblici poteri, le cui ricostruzioni giudiziarie e accuse furono successivamente del tutto smantellate, nei confronti della persona innocente con il vergognoso codazzo di consueto (e preavvertito) sciacallaggio comunicativo dei media che può ben essere preso a simbolo di questo tema.

Perché è evidente che la gravità dei comportamenti non conformi, in particolare pubblici (ma anche privati) è direttamente proporzionale alla visibilità, in ogni senso, del soggetto indagato o imputato e alla sua eventuale esposizione politica o pubblica.

E’ stato quindi ora introdotto un generale divieto alle autorità di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non sia stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili e altresì introdotto ex novo nel codice di procedura penale l’articolo 115-bis, dal titolo autoportante Garanzia della presunzione di innocenza, che precisa come la persona sottoposta a indagini o l’imputato non possano essere indicati come colpevoli fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili.

Esclusi ovviamente gli atti del pubblico ministero la cui funzione processuale è, appunto, quella di provare la colpevolezza del soggetto.
Ed è stato altresì ritoccato l’obbligo del segreto (articolo 329 c. p. c.) sugli atti d’indagine del PM e della polizia giudiziaria prevedendone la deroga non più quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, ma solo quando è strettamente necessario.

Ma la novità più rilevante attiene alle modalità di diffusione delle notizie relativamente ai procedimenti penali che, come ognuno ricorda, si realizzano a volte, in rapporto all’importanza dell’indagato o imputato, nella pubblicazione sui media di dati e notizie coperte teoricamente dal segreto (intercettazioni, verbali etc).

La nuova disciplina ha infatti integrato l’articolo 5 del decreto legislativo disciplinante la organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero sul punto specifico dei rapporti con gli organi d’informazione e ha disposto quale unico mezzo di diffusione di notizie relative a procedimenti penali solo comunicati ufficiali (o nei casi più gravi conferenze stampa) sotto la diretta responsabilità del procuratore della Repubblica e l’anonimato (cioè l’esclusione di riferimenti ai singoli magistrati assegnatari del procedimento oggetto di notizia), mentre il divieto ai magistrati della procura di rilasciare dichiarazioni o fornire notizie agli organi di informazione circa l’attività giudiziaria dell’ufficio già esisteva in chiaro.

Ora si vedrà, alla prossima occasione, se ci saranno auspicabili effetti correttivi sulle pratiche che le norme, europea e nazionale, si propongono di correggere, ma rimane comunque, allo stato, la sensazione di un fallimento riscontrabile, anche se su singoli casi, a livello di fasce della pubblica autorità il cui dovere, per la posizione ricoperta e la derivante responsabilità (onore e oneri), è anche di dare con il proprio comportamento esempio virtuoso ai cittadini.

Non dimenticando nemmeno che almeno parte di questo incidentato percorso non sarebbe neanche stato necessario se i precetti fondamentali della Repubblica non fossero confinati a un ruolo estetico-formale, ma utilizzati anche nella pratica (almeno dagli addetti ai lavori) dato che, nella specie, l’articolo 27 della Costituzione già dispone (dal 1947) che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Se però poi ogni concetto fondamentale, di per sé chiaro e comprensibile a chiunque, non è realizzabile che con norme attuative (‘attuativo’ è un eufemismo sovente usato per dissimulare un’azione contraria) questo non è certo un buon riconoscimento dell’etica di un popolo né della morale dei suoi cittadini, ma segno inequivoco di perversione politico-sociale.

Come ebbe già a scrivere tempo fa Tacito a proposito delle moltissime leggi che si trovano allorquando lo Stato è corrotto (Corruptissima re publica plurimae leges, Annales III, 27) per sottolineare che la moltiplicazione normativa avviene non per il bene o scopo comune della società, ma per interessi ad hoc o ad personam sebbene più o meno destramente dissimulati.

Alla considerazione antica, pur sempre valida, si potrebbe aggiungere una domanda: ma se un pubblico ufficiale non è capace autonomamente di comportamenti conformi alla Costituzione, onde necessita di un manuale applicativo (e di minacce repressive: sanzioni e risarcimenti) non significa forse che un certo livello etico dello Stato è in riserva e necessita di cure adeguate?

LMPD

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