HomeDe Litteris Et ArtibusDE LITTERIS ET ARTIBUS – Il circolo del cinema – Il vedovo, Dino Risi (1959)

DE LITTERIS ET ARTIBUS – Il circolo del cinema – Il vedovo, Dino Risi (1959)

Il cinema è, fra le forme artistiche cui si rivolge la fantasia e l’intelligenza dell’uomo, la più recente (fine ‘800) altresì denominata ‘settima arte’: basandosi sul movimento riprodotto concreta una forma di narrativa normalmente di approccio più agevole o meno complesso rispetto alla lettura, ma in grado di ‘parlare’ ancor più direttamente allo spettatore (lettore).
Come ogni altra può rivelarsi assolutamente inutile oppure elevarsi a offrire esperienze e sensazioni di valore che, in virtù del mezzo tecnico costituito dal film, possono agevolmente essere riproposte nel tempo.
Con il titolo de “il Circolo del Cinema” pubblichiamo interventi su film che hanno fatto la storia e sono degni di memoria a cura di un appassionato cinèfilo.

Il vedovo, Dino Risi (1959)

Che fa Marchese, spinge?”…. il film termina così, ma vediamo brevemente l’antefatto: un romano trapiantato a Milano che s’è sposato solo per interesse crede a un certo punto che la ricchissima moglie sia morta in un incidente e pensa già a come adoperare i suoi milioni.
La donna, invece, è viva. Il poveraccio prepara un piano per ucciderla e nonostante tutti i preparativi, è lui a rimetterci la vita.

“Il vedovo” è uscito nelle sale italiane nel 1959 ed è liberamente ispirato al caso di Giovanni Fenaroli, un imprenditore edile in difficoltà finanziarie che fu accusato di aver organizzato la morte della moglie per incassare l’assicurazione sulla vita.

A dirigere il film è stato il futuro autore de“Il sorpasso”, il regista Dino Risi, che ha saputo rappresentare alla perfezione i rapporti umani, apertamente crudeli, e una velletarietà tutta italica che è poi la caratteristica principale del Commendator Alberto Nardi (Alberto Sordi), un omuncolo spietato con i deboli e sottomesso con i forti, oltre che scansafatiche e un po’ vigliacco e, per tale ragione, incessantemente deriso dalla propria “dolce metà”.

Al fianco di Alberto Sordi, troviamo una strepitosa Franca Valeri (all’anagrafe Franca Maria Norsa), perfetta nella parte della moglie ricca e dispotica verso la quale il protagonista proietta i propri sogni di “vedovanza”.

Andiamo alla nostra storia. Come abbiamo detto, Alberto Nardi è un industriale romano sposato con la ricchissima Elvira Almiraghi (Franca Valeri), un’abile donna d’affari del nord Italia, probabilmente milanese, che lo tiranneggia e gli rinfaccia continuamente la sua incapacità a gestire il denaro.

Il Commendator Alberto Nardi ha la passione dei grandi affari industriali, ma non ha la capacità necessaria nel condurli con successo. Per effetto della sua pericolosa mania, Alberto si trova spesso in gravi difficoltà ed è costretto a ricorrere all’aiuto di sua moglie Elvira, donna ricchissima e saggia amministratrice della propria sostanza. Ma un brutto giorno Elvira, stanca di sborsare milioni per le follie del marito, gli nega ogni aiuto. Per Alberto, che oltre a quella degli affari, ha anche altre costose passioni e una amante da mantenere, la situazione rischia di divenire tragica.

Tra marito e moglie è instaurato un rapporto di subordinazione in cui a tenere il coltello dalla parte del manico è la signora Elvira, in virtù delle sue cospicue finanze.

Le frequenti schermaglie fra Alberto ed Elvira che gli si rivolge sempre con la frase “Cos’hai, cretinetti?” sono a dir poco divertenti e le ventiquattr’ore trascorse dal presunto “vedovo” convinto della tragica morte della moglie, con tanto di esequie interrotte sul più bello, suscitano risate a crepapelle.

Indimenticabile è un dialogo all’inizio del film, quando Alberto prova a estorcere a Elvira una firma che gli garantirebbe il fido bancario di cui ha bisogno. Quando Elvira accenna a un affare andato malissimo con certi ebrei, il personaggio di Sordi risponde con una frase che oggi sarebbe inconcepibile pronunciare…: “E lascia stare gli ebrei: quelli mi hanno imbrogliato. Tu lo sai quanto li odio.” E allora eccola la risposta di Elvira: “Non ti hanno affatto imbrogliato. Loro ti hanno venduto la benzina quando il Canale di Suez era chiuso, tu l’hai rivenduta quando l’hanno riaperto. È che loro sanno fare i loro affari e tu no. Per questo li odi, perché sei un incapace.

Torniamo al film … i creditori sono assillanti, le cambiali scadono, il fallimento si avvicina e il Nardi è sul punto di dover chiudere la propria fabbrica (la Nardi Ascensori); mentre cerca di racimolare qualche soldo, va pensando che se sua moglie morisse ed egli ne ereditasse il patrimonio, ogni difficoltà sarebbe superata.

Quando gli giunge la notizia che il treno nel quale viaggiava sua moglie per raggiungere la propria madre in Svizzera è precipitato in un lago, Alberto crede che il destino l’abbia favorito.

Mentre ostenta un acerbo dolore, decide di vendere le proprietà della moglie e cerca di soffiare un affare niente di meno che alla Montecatini – un colosso all’epoca – affare che poi la moglie dimostrerà esser stato una truffa.

Ma Elvira non è morta, ha perso quel treno e ha viaggiato in automobile con l’autista e rientra in tempo per assistere alla messa in scena delle esequie a lei destinate e ora più che mai è decisa a respingere ogni richiesta del marito.

Questi, sconvolto e perseguitato dai creditori, riprende dopo qualche tempo il dominio dei suoi nervi per dedicarsi alla preparazione di un delitto perfetto che deve liberarlo dalla moglie.
Esilarante la parte finale del film in cui Alberto, deciso a sbarazzarsi dell’odiata consorte, organizza un omicidio studiato nei minimi dettagli, servendosi di un ascensore malfunzionante come “arma del delitto”.

Purtroppo però, a causa di una serie di imprevisti, è il Commendator Nardi a rimanere lui stesso vittima del macchinoso piano studiato a tavolino e sarà proprio il Marchese, suo collaboratore, in cima alla nuovissima (per l’epoca) Torre Velasca a Milano a spingerlo nella tromba dell’ascensore per un tragico errore credendo, al buio del pianerottolo, che si tratti della Signora Elvira.

Alla fine, Dino Risi ci regala una formidabile commedia, decisamente divertente, di un umorismo macabro, all’inglese, che non esita a calcare il pedale sui toni del grottesco dando vita a situazioni irresistibili e a una serie di siparietti spassosissimi.

Una lode di merito ai due attori protagonisti, Sordi e la Valeri, che grazie a un’efficace caratterizzazione dei rispettivi personaggi riescono a rendere questo film un vero e proprio gioiello di comicità, da riguardare sempre con grande piacere.

Antonio Grossi

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