HomeDialogandoNewsletterApocrifaAPOCRIFA – Differenze

APOCRIFA – Differenze

Il NYT ha pubblicato (16 maggio scorso) un interessante articolo del suo capo ufficio a Melbourne che indaga, comparandoli, i modi di procedere di USA e Australia allo scopo di reagire al Covid-19.
E le rispettive psicologie.

Denominatore comune dei due Paesi, legittimante il parallelo pur con tutta la prudenza del caso, è l’essere ambedue democrazie di lingua inglese, con un’età media comune di circa 38 anni e un inurbamento (assembramento) similare: 83% gli USA e 86% l’Australia.

L’Australia ha registrato, allo stato attuale, un tasso di mortalità pari a un decimo di quello statunitense che si è attestato intorno a un milione di morti.

E’ vero che la posizione geografica rende più facile governare gli accessi di un’isola nel Pacifico, ma d’altra parte nel 2019 solo per il turismo -e non considerando le attività economiche e il commercio internazionale- quasi dieci milioni di persone sono entrate nell’isola e nonostante questo Sidney e Melbourne non hanno subìto la crisi delle città nordamericane.

Le esperienze divergono profondamente, quindi, sebbene neppure l’Australia sia stata indenne da numerose errori anche gravi e ripetuti come la gestione insufficiente dei protocolli nelle case di cura, i rilevanti ritardi vaccinali, l’imprudente comportamento di abbassare la guardia a fronte di Omicron etc.

Ma qualcosa è andato meglio da una parte e peggio dall’altra né il credito può essere limitato alla maggiore efficacia ed efficienza dell’azione in termini solo operativi: i ricercatori sono concordi nell’individuare un diverso piano psicologico e comportamentale, sia singolo sia di gruppo, di importanza così rilevante da fare la differenza: la fiducia reciproca.

All’inizio della pandemia il 76% degli Australiani dichiarava la propria fiducia in istituzioni, governo, scienza, ospedali e, in particolare, nel suo prossimo. Contro il 34% circa degli Americani.

E secondo le analisi dei ricercatori il fatto di potersi fidare ha contribuito in misura sostanziale e determinante a modificare effettivamente le proprie abitudini per lo scopo, individuato e sentito come comune alla collettività, di contenimento del virus (assembramenti, maschere, vaccini non appena disponibili).

Il ministro della salute si è messo in azione immediatamente non appena ricevuta una prima notizia di pericolo imminente -e nemmeno di provenienza da un luminare della medicina, ma da un medico ex dirigente ospedaliero- costituito da un nuovo coronavirus in Cina e il coinvolgimento della scienza con la politica e l’amministrazione è stato immediato sebbene senza clamore mediatico.

Il primo caso apparve il 25 gennaio e mentre le cautele di frontiera, sorveglianza, isolamento e tracciamento già erano in atto, il primo giorno di febbraio furono chiuse le frontiere con la Cina e quindi, a seguire, le altre.

In quegli stessi giorni il presidente USA minimizzava ostentando pieno ottimismo e la gente -credendo volentieri, come istintivamente naturale, alla versione soft– continuava nelle abitudini di sempre perché convinta non ci fossero rischi e la Cina lontana, dall’altra parte del mondo.

In Australia politica e governo -conservatori al potere e laburisti all’opposizione- hanno scelto di presentarsi ai cittadini e di agire a voce unica, rinunciando a strumentalizzare sia il virus sia le possibili azioni da intraprendere a scopi elettorali, mentre sono bastati razionali sospetti (avanzati peraltro da un consulente ospedaliero e nemmeno da uno scienziato) che il virus si trasmettesse con il respiro, prima ancora che la scienzia lo accertassero ufficialmente, per fornire le maschere cominciando dai lavoratori sanitari che si occupavano dei malati di Covid.

In sostanza, pur in presenza di un’organizzazione generale riconosciuta dallo stesso governo come autoritaria (ma il ministro della salute avrebbe poi confermato che aveva fissa nella mente la débâcle della mortale influenza spagnola del 1918 (disposizioni incoerenti e mancanza di condivisione) e fitta di divieti, ammende, lockdown, obblighi e controlli, la stragrande maggioranza della popolazione si è imbarcata fiduciosa sul medesimo naviglio è vi è rimasta, compresa larga parte di quella indigena che in condizioni di normalità non è esattamente coesa con le azioni governative.
La sintesi degli avvenimenti, a posteriori, si risolve in una formula semplice: ‘Quando e dove ci sono grandi minacce, è necessario unirsi: non si tratta solo di me’.

Negli USA praticamente (quasi) tutto al contrario, nella logica aberrante e sterile del fare da sé e arrivare, sempre e ovunque, prima degli altri altamente disinteressandosene.

E poi, una volta che il vaccino era diventato obbligatorio, semplici funzionari di frontiera hanno annullato il visto al più celebre tennista del mondo, per non avere adempiuto e lo hanno rimandato a casa a rischio di un incidente diplomatico.

Il mondo è lontano, sfortunatamente, dall’essere uscito una volta per tutte dal buio del coronavirus che ancora incombe e quindi ricordare alcune poche virtù civiche di un popolo misto non sempre celebre per fantasia, creatività o inventiva fa anche emergere qualcosa di nuovo da imparare a memoria.

E non solo per l’America.

LMPD

Print Friendly, PDF & Email