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L’APPROFONDIMENTO – Peer review

Nella produzione di un lavoro scientifico c’è un passaggio – invisibile ai più – che sta tra la stesura dell’articolo e la sua pubblicazione su rivista. Questo passaggio è rappresentato dalla revisione da parte di colleghi (peer review), ovvero da quel vaglio critico preliminare che viene esercitato da chi conosce la materia trattata nell’articolo in modo paragonabile agli autori.

Grazie alla peer review è possibile verificare la qualità della ricerca prima di renderla pubblica, riducendo così la probabilità che vengano fatte circolare notizie scientifiche inesatte.

In questi giorni la peer review viene menzionata anche su testate giornalistiche non scientifiche e questo perché alcuni astronomi hanno fatto filtrare sui social media la loro scoperta della galassia più antica mai osservata. Si tratta di una minuscola sorgente di luce rossa, che il nuovo telescopio orbitante Webb ha consentito di documentare e di far risalire ad appena 300 milioni di anni dopo il Big Bang. Ma prima di dar credito a questa sensazionale scoperta è necessario attendere il risultato della peer review, che valuterà le metodologie adottate dagli autori dell’osservazione, la qualità dei dati da loro raccolti e la correttezza delle loro interpretazioni.

In questo caso i ricercatori che eseguiranno la peer review saranno partecipi del prestigio di una scoperta di portata fondamentale che consentirà di conoscere meglio un importante capitolo della storia dell’universo.
Naturalmente non sempre la peer review è un’attività così gratificante: in effetti molto spesso è un servizio generoso che alcuni ricercatori di esperienza prestano nei confronti dei colleghi che desiderano pubblicare i risultati delle loro ricerche.

Si tratta quindi di un esercizio di altruismo che secondo alcuni potrebbe essere fatto risalire a quella forma di “egoismo universale” che postula l’importanza di aiutare gli altri per raggiungere risultati che portano beneficio anche a sé: in questo caso i ricercatori accetterebbero di fare la peer review per aumentare la qualità complessiva della ricerca scientifica con l’obiettivo di portare beneficio anche al proprio lavoro.

Un’interpretazione alternativa è quella che vede in questa forma di altruismo un’espressione degli atteggiamenti fortemente prosociali che caratterizzano Homo Sapiens (e in modo particolare le femmine della nostra specie).

Questa interpretazione parrebbe avvalorata anche da quanto osservato nella paperdemic, ovvero lo straordinario aumento delle pubblicazioni scientifiche che si è verificato in occasione della pandemia COVID-19.
Sul tema un gruppo di autori Italiani ha scritto un articolo illuminante, che prima della peer review aveva un titolo piuttosto colorito: “Only second-class tickets for women in the COVID-19 race. A study on manuscript submissions and reviews in 2329 Elsevier journals” e che dopo la peer review ha ricevuto un titolo più compassato: “Gender gap in journal submissions and peer review during the first wave of the COVID-19 pandemic. A study on 2329 Elsevier journals”.

Nell’articolo si conferma come nei primi mesi della pandemia ci sia stato un numero inusualmente alto di sottomissioni di articoli scientifici alle riviste specializzate. Entrando nel merito, gli autori hanno mostrato come il lavoro da casa abbia favorito gli autori maschi e abbia penalizzato in modo selettivo la produttività scientifica delle donne, specie quelle appartenenti alle fasce d’età più giovani. La cosa sorprendente (ma non tanto!) è stata che durante la paperdemic le ricercatrici donne hanno avuto invece una produttività pari a quella dei colleghi uomini nello svolgimento della peer review.

Insomma, in corso di pandemia le ricercatrici non hanno approfittato come i maschi delle opportunità offerte dal lockdown per scrivere lavori scientifici utili alla loro carriera, mentre hanno mantenuto la loro propensione ad aiutare disinteressatamente il mondo della ricerca scientifica svolgendo l’attività di peer review.

Davide Caramella

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