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L’EDITORIALE – Sanità nazionale

L’Italia è, notoriamente, uno strano paese che supplisce alla fisiologica carenza di materie prime o ricchezze naturali con la fantasia e l’inventiva e il talento individuale (come ben dimostrato dal fenomeno del made in Italy e non solo nella moda e nel design).

Sul piano politico, ora che anche i maestri inglesi, gli inventori della Charta Libertatum, stanno italianizzando il loro modo di governare (sebbene mantenendo una certa sobrietà di linguaggio: la signora Truss, primo ministro in carica per sei settimane, ha dichiarato “Sono stata eletta con il mandato di cambiare“, ma “data la situazione non posso farlo” e, raccolto cappello e borsa, se ne è andata) il nostro Paese si è portato avanti inventando un Parlamento con, malcontate, tre maggioranze e tre o quattro opposizioni.

E considerati taluni segnali ci si può spingere a immaginare che la presenza dell’opposizione non sia riservata solo al Parlamento, come è consuetudine e (teoricamente) sarebbe anche logico, ma trasferibile fin nel governo stesso.

Sulla gestione della pandemia (con i suoi corollari di vaccino sì-vaccino no, mascherine etc) facciano pure la (solita) commissione d’inchiesta (magari partendo da quanto successo in Lombardia ove è calato il velo di Maja) e d’indagine e si vedrà, forse, che quello ora flautatamente indicato come conflitto fra politica e scienza, rispetto alla quale contestare o lamentare l’assenza di evidenze scientifiche davanti a un fenomeno totalmente nuovo e ignoto a tutti come il Covid-19 non sembra gran che intelligente, era e rimane un conflitto ideologico, vale a dire politico e basta.

In tutto il mondo, tolti i Paesi (numerosi) che non hanno fatto niente poiché non avevano neanche gli occhi per piangere, i governi si sono mossi con decisioni prettamente politiche e la vicina Cina, probabilmente in possesso anche di qualche notizia in più sull’infezione, è stata ed è la più attenta a disporre restrizioni draconiane e lockdown da milioni di persone alla volta.

D’altronde, trattandosi di una malattia altamente letale (prima dei vaccini) che fin quasi da subito si era arguito contagiosa per via aerea non era neanche scientificamente peregrino immaginare protezioni e cautele come evitare di starnutirsi in faccia, mascherine, distanziamento sociale e, in via orizzontale valide non solo per il virus del Covid-19, ricambio e pulizia dell’aria, di mani e di cose.

Ovviamente c’è sempre qualcuno che, per tornaconto o carattere (più il primo del secondo), si smarca e sostiene il contrario, dalla Terra piatta in poi.

Poi che i soliti noti abbiano puntualmente lucrato sulle forniture e gli approvvigionamenti di materiali anti-Covid, come peraltro capita non da oggi nel settore della Sanità -dato che di sanità si parla, ma vale anche per altri settori- è all’evidenza un altro discorso: di onestà collettiva (che non c’è da un bel pezzo, signor Guardasigilli, anche con il benevolo ausilio proprio delle norme penali che sono applicate, quando ci si arriva, dopo chilometrici processi), di efficienza e di efficacia della struttura amministrativa e della sua azione.

Ora il neo ministro della Salute, medico con un cursus honorum importante anche a livello istituzionale, sembra, da notizie di stampa, avere riferito ai giornalisti che nella generalità degli indicatori internazionali l’aspettativa di vita di chi ha un reddito più alto è maggiore rispetto a chi ne ha uno più basso. Tradotto, anche se non ce ne è bisogno: chi non ha soldi e perciò non riesce a curarsi muore prima di chi ne ha e può curarsi.

Ma va’! Eh, sì!

E forse non c’è neanche bisogno, per siffatta indagine, di ricorrere a indicatori e statistiche: ci arriva (da solo) anche quello che porta il gesso e, a parte i soliti Paesi che non hanno neanche i soliti occhi per piangere, coinvolge pesantemente anche l’Italia dove il Servizio Sanitario pubblico dispone visite e cure con tempi ragguagliati a mesi che confliggono (e anche per questo non servono indagini, basta la logica) con necessità terapeutiche appena diverse da quelle di una visita di controllo, ad abundantiam, per un individuo, buon per lui, già sano come un pesce.

Dice il neo ministro che questa è una sanità ingiusta e inaccettabile e sul suo giudizio tutti possono convenire, anche le opposizioni.

L’ingiustizia è misurata dalle sinuose liste d’attesa di cui non si vedono né capo né coda e l’accettabilità, ovviamente, in uno scenario consimile non esiste per definizione.

Ma non basta dichiararlo inaccettabile, termine entrato di prepotenza nell’uso comune, in particolarmente politico, per risolvere il fenomeno critico -grande o piccolo che sia- quando la prospettiva di porre mano al miglioramento, peraltro ripetutamente già individuato come necessario e urgente anche nel passato, attraversa le competenze delle Regioni in sanità (per la Costituzione, articolo 117 del Titolo V, la tutela della salute è materia di legislazione concorrente Stato-Regioni) cui compete di programmare e gestire in piena autonomia la sanità nel proprio rispettivo ambito (mentre lo Stato determina i LEA che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale).

Lo Stato ha riconosciuto, a titolo di finanziamento del fabbisogno del SNN non coperto da altre fonti, circa 122 miliardi nel 2021 con un aumento di 2,7 miliardi rispetto all’anno precedente e oltre 124 miliardi nel 2022.

Ma le Regioni non sempre hanno fornito prova di affidabilità economico-amministrativa né di efficiente organizzazione su questa materia che, tra l’altro, costituisce la posta di maggior rilievo dei rispettivi bilanci e nondimeno la strada di una accettabile sanità pubblica va comunque percorsa insieme a loro.

E a parte la macroscopica differenza qualitativa generalmente rilevabile fra Nord e Sud, ci sono Regioni nelle quali i cittadini non intendono farsi curare e cercano, se appena possono, la mobilità sanitaria o, con terminologia meno appropriata, il turismo sanitario: prima fra tutte è mèta della mobilità sanitaria la Lombardia, ove è presente una forte percentuale di sanità privata convenzionata, acquistata cioè da parte della componente pubblica, ma dove tuttavia le liste di attesa del SSN si attestano, per dirla con il ministro, su tempi di solito inaccettabili e il ricorso da parte -di chi ci riesce- verso le cure private risulta quindi molto elevato a dispetto dei principi fondamentali (Universalità, Uguaglianza, Equità) introdotti dalla legge 833 del 1978 costitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.

E già oltre mezzo secolo fa, il mitico quartetto dei Gufi nerovestiti cantava la triste vicenda di un tale che (in milanese) era dietro a morire, mentre cercava un buco, un buco in ospedale.

 

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