HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO – Contemplazione e meditazione. Il pensiero placato (2)

L’APPROFONDIMENTO – Contemplazione e meditazione. Il pensiero placato (2)

(continua dal n. 193)

 

La via pratica del Buddha: i 4 jhana

Nella tradizione buddista tali stati di unificazione perfetta, chiamati jhana, sono descritti nei dettagli. Essi sono quattro caratterizzati da una crescente esperienza di perfezione interiore di pace.

La loro descrizione appare del tutto equiparabile alla descrizione degli stati chiamati di Contemplazione e Unificazione con Dio che si trovano nelle Scritture cristiane, Vite dei santi o nella regola delle tradizioni monastiche cristiane.

Procediamo trattando dei jhana.

E invitando il lettore cristiano (o appartenente ad altre tradizioni spirituali) a leggerli cogliendo il sapore dell’esperienza e le indicazioni pratiche utili a raggiungerla anche e senza ostacolo alcuno nella pratica della propria spiritualità.

 

I 4 jhana: caratteristiche comuni

Dal momento in cui si entra in un jhana, non si ha alcun controllo e non si è in grado di dare ordini come si fa normalmente. Quando la volontà che controlla svanisce, scompare anche il proposito ‘io voglio‘ che informa il nostro concetto di presente e di futuro. Neppure la domanda ‘poi cosa devo fare?’ può porsi. Non possiamo neanche decidere quando uscirne: tale assoluta assenza della volontà e del senso del tempo conferiscono ai jhana la loro stabilità caratteristica e permette loro di durare molte ore in uno stato di piena beatitudine. Ciò che si prova è una grande beatitudine immota, per periodi di tempo non quantificabili.

Non è tuttavia uno stato di trance, in quanto la consapevolezza è assolutamente acuta e presente, in uno stato di perfetta unificazione e pace. Solo quando si riemerge tale perfetta unificazione si disgrega, riprende il pensiero corrente e possiamo riflettere sull’esperienza avuta. Quando emergiamo dai jhana siamo in perfetta forma e il nostro sguardo sulla quotidianità appare modificato; ugualmente parola, azione e qualità della nostra mente.

Caratteristiche comuni a ogni jhana:
. Non vi è alcuna traccia di pensiero;
. Non è possibile alcun processo decisionale;
. Scompare la percezione del tempo e l’assenza perdura molto a lungo, in misura non quantificabile;
. Si è estremamente consapevoli, ma solo di una beatitudine immota;
. Solo dopo riappare il pensiero e possiamo elaborare l’esperienza avuta.

Ogni jhana ha poi caratteristiche specifiche che si connotano per una immobilità della mente sempre maggiore e beatitudine sempre più rarefatta.

 

Caratteristiche del 1 jhana

Tutti i jhana rappresentano degli stati di beatitudine immota, tuttavia nel primo jhana vi è una impercettibile traccia di residuo movimento mentale, tanto sottile da potersi definire subverbale.

La mente, immersa in uno stato di perfetta beatitudine immota, inconsapevolmente tenta di ‘afferrare’ tale beatitudine, ma percepisce che in tal modo essa tende a indebolirsi leggermente; allora lascia andare la presa ed essa torna a potenziarsi.

Poi di nuovo tenta di afferrarla, aggrapparsi ed essa si opacizza e allora di nuovo lascia andare. Questo movimento è tanto raffinato e sottile da non generare alcun pensiero. Rappresenta il modo in cui la consapevolezza percepisce chiaramente, come esperienza interiore, l’attitudine del lasciar andare.

Le altre caratteristiche del primo jhana sono:
. La perfetta unificazione mentale (ekaggata, in lingua pali);
. Lo stato di sublime gioia e felicità (piti-suka, in lingua pali).

Ekaggata deriva dalla radice agga che significa ‘sommità’, ‘cima di una montagna’ a indicare come non si tratti di una qualunque forma di concentrazione mentale, ma di una perfetta unificazione su qualcosa di sublime ed eccelso.

Tale punto di unificazione, sublime ed eccelso, è definito piti-suka (gioia, felicità) a indicare lo stato di straordinaria beatitudine che costituisce il tratto caratteristico del primo jhana e che permette a esso di perdurare per molte ore.

 

Caratteristiche del 2 jhana

Nel secondo jhana ogni tentennamento subverbale cessa e tale perfetta unificazione acquista una immobilità caratteristica che viene definita cetaso ekkodibavam, in lingua pali, che significa: immobilità di una roccia. E’ un’esperienza dal sapore unico, quando la si attraversa. Non esiste più nulla.

In questa fase compare anche ajjatam sampasadanam, la piena fiducia interiore nella perfetta stabilità della beatitudine. E’ uno stato molto nutriente. La piena fiducia interiore è la caratteristica peculiare che compare nel secondo jhana e permane anche nella vita quotidiana.

Dunque, nel secondo jhana l’unificazione è divenuta totale, piti-suka (gioia e felicità) risplendono immote e silenziose e l’esperienza è pervasa da una piena fiducia interiore: dall’assenza di dubbi o timori sul fatto che questa stabilità e beatitudine possano essere passeggere.

 

Caratteristiche del 3 jhana

Nel terzo jhana scompare piti e rimane solo suka. Solo a questo punto percepiamo come piti avesse una qualità più grossolana, in qualche misura più euforica e stancante. Suka, che resta, rappresenta la parte più raffinata, sottile, immensa, pervasiva e tenue di tale sensazione di felicità.

Permangono ekaggata (perfetta unificazione mentale, non più su piti-suka ma solo su suka: una beatitudine più riposante e sottile), cetaso ekkodibavam (immobilità di una roccia), che conferisce lunga durata a queste esperienze, e ajjatam ekkodibavam, piena fiducia interiore (benchè essa sia caratteristica più del secondo jhana, poiché ora risulta quasi ridondante; non serve: la beatitudine è dolce, stabile e perfetta).

 

Caratteristiche del 4 jhana

Nel quarto jhana la beatitudine cambia di nuovo, ma questa volta in modo più radicale. In esso scompare anche suka: anche questa componente risulta ridondante. Permane una sensazione di pace immensa ed equanime. Si percepisce uno stato più vasto e sereno di perfezione della pace. E’ il tratto caratteristico del quarto jhana. Pur essendo pervasa da una pace equanime e pur venendo meno piti-suka che definiscono la peculiare piacevole beatitudine degli stati precedenti, l’esperienza del quarto jhana è definita come estremamente piacevole da chi la attraversa: non esiste piacere maggiore. Rimane una quiete assoluta.

Dalla prospettiva del quarto jhana, la beatitudine dei jhana precedenti è vista come un movimento residuo e una afflizione che oscura qualcosa di molto più grande: una quiete assoluta: pace profonda. Qui nulla si muove, nulla splende. Vi è un perfetto equilibrio, un senso di perfezione della pace. Una pace così immobile e quieta che si rimane sul suo “altopiano” per molte ore. Essa è percepita come la beatitudine più intensa mai provata, sebbene questo possa sembrare un gioco di parole.

 

Elena Greggia

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