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L’EDITORIALE – Accise

Sul prezzo del carburante e il connesso ruolo delle accise tutti cercano di montare più panna possibile a proprio uso e consumo e si accusano a vicenda non solo fra maggioranza e opposizione, ma anche all’interno della stessa maggioranza ove qualcuno teme, e non ha tutti i torti, di pagare un (altro) prezzo elettorale a causa di una promessa non mantenuta.

Ora, le promesse elettorali sono quasi sempre destinate a una ingloriosa archiviazione complice il trascorrere del tempo, che di rado è sincronizzato con ritmi e scadenze della politica, e la memoria degli elettori già debole di suo e tanto più quando messa a dura prova dal continuo susseguirsi di eventi e notizie per lo più preoccupanti.

Archiviazione però meno facile a realizzarsi se la promessa, nel caso, va a incidere in profondità nelle tasche di moltissima gente (vedasi, e.g., quanto successo per il reddito di cittadinanza) e quindi non è una fatalità se le accise sono e rimangono all’ordine del giorno della polemica partitica nel presente scenario di difficoltà economica generalizzato.

Lasciando agli esperti tecnici e ai politici di svolgere il lavoro per cui sono, rispettivamente, pagati ed eletti, il semplice cittadino -cui compete il ruolo non sempre piacevole o tranquillizzante di essere governato- conosce, tanto per cominciare, le mani (non sulla città, ma) sul carburante da parte dello Stato che si è, peraltro e non da ieri, cimentato con indubbio successo al riguardo tanto da condurre l’Italia al primo posto per carico fiscale fra i Paesi europei.

Per la benzina il fisco si prende il 58% del prezzo a fronte di un costo della componente industriale e commerciale del 42%, mentre per il gasolio si accontenta del 55% contro un costo industriale e commerciale del 45%.

Per dare un’idea concreta la benzina a € 1,812 al litro (9 gennaio, con il Brent al minimo di 80 dollari al barile contro i 120 dollari di giugno 2022) si componeva di fisco per € 1,055 (€ 0,728 accise e € 0,327 IVA) e di costo industriale per € 0,757, mentre il gasolio di fisco per € 0,940 (€ 0,467 accise e € 0,319 IVA) più € 0,777 per costo.

Questo è il palcoscenico su cui i numerosi e variopinti attori recitano le quotidiane baruffe romane secondo il collaudato italico schema della commedia dell’arte: un canovaccio approssimativo (vale a dire: sempre nessuna responsabilità propria e la colpa regolarmente degli altri) e quindi avanti a soggetto, secondo contingenza.

Va da sé che una componente non marginale dello scenario, sia di destra sia di sinistra, è però sempre la medesima ed è costituita dalla opposta prospettiva in cui agiscono le contrapposte forze l’un contro l’altra armate: se sono al governo in una modalità (per lo più condizionata da elementi esogeni) e se sono all’opposizione in un’altra maggiormente innovativa, diciamo così, che regolarmente finge di dimenticare (se no si teme di non raccogliere abbastanza voti) la saggezza spicciola, ma politicamente priva di appealing, dell’antico principio per cui fra il dire e il fare etc.

Questo è, e.g., il motivo per cui a un gran numero di promesse elettorali fa sempre difetto un pur minimo di accettabile analisi o previsione economica di fattibilità, quasi che le pubbliche risorse necessarie alla loro realizzazione non siano una condizione di procedibilità. E così largo alle promesse: riforme, pensioni a spaglio, denti nuovi per todosetc etc.

Ma quando capita poi di arrivare a dare il cambio (la democrazia è alternanza) ecco che lo spettacolo muta d’accento e di pensiero: nun se po’: il fisco-forziere è, come di consueto, agli estremi e sta tirando gli ultimi sotto il peso dei debiti: contemplandolo dopo averne sollevato il borchiato coperchio mostra desso un fondo vuoto e preoccupantemente liso a causa delle ripetute e accurate raschiature.

Ma ci sono, anche, campicelli che lo Stato, non sempre solerte o avveduto amministratore, cura nondimeno con la medesima attenzione da dedicare alle coronarie poiché gli consentono la sopravvivenza e questi campicelli sono, in particolare, là dove non riescono a entrare i volatili esperti di evasione fiscale.

Non riescono a entrare, si capisce, unicamente per la situazione in sé (l’accisa, a esempio, è imposta indiretta pagata all’atto dell’acquisto del carburante) e non certo per opera di accurata guardiania o cura pubblica: così anche gli evasori professionisti e perfino gli sconosciuti al fisco pagano, obtorto collo ma pagano, il loro contributo alla comunità se vogliono andare o continuare a viaggiare in automobile: l’unico modo per evadere anche l’accisa sul carburante essendo procedere a piedi o in bicicletta.

Il fisco predilige la tassazione diretta o delegata coattivamente a terzi che lavorino in propria sostituzione come, non per nulla, i sostituti d’imposta (IRPEF) oppure la tassazione alla fonte nel gioco d’azzardo che è un altro fruttifero campicello con prelievo diretto sulle vincite erogate e quando, a corrente (molto) alternata, si accenda il dubbio di liceità etica (non dissimilmente dalle case di tolleranza), solitamente a motivo di qualche eclatante caso di cronaca che perturbi la pubblica opinione, ecco che si strizzano lacrime di coccodrillo nella misura necessaria e sufficiente ad attendere che la cronaca si occupi d’altro: onde lasciare tutto come sta.

Si diceva che le accise hanno la coda lunga. Eh sì, a memoria degli storici del ramo sono state introdotte la prima volta nel 1935 per finanziare la guerra d’Etiopia.

Individuato il passaggio l’acqua scorre poi disciplinatamente sempre verso il basso e così nel 1953 altra accisa per la crisi di Suez (che vista ora fa quasi tenerezza), nel 1963 per l’ecatombe del Vajont, nel 1966 per l’alluvione di Firenze, nel 1968 per il terremoto del Belice, nel 1976 per il terremoto del Friuli, nel 1980 per il terremoto dell’Irpinia, nel 1982 per la missione in Libano, nel 1996 per la missione ONU in Bosnia, nel 2004 per il contratto nazionale di lavoro degli Autoferrotranvieri, nel 2005 per l’acquisto di autobus ecologici, nel 2009 per la ricostruzione de L’Aquila, nel 2011 per finanziamento alla cultura, fondi di contrasto alla crisi libica, ricostruzione di Toscana e Liguria e finanziamento del decreto Salva Italia, nel 2012 per il terremoto in Emilia, nel 2014 per finanziamento del decreto Fare e finanziamento del bonus Gestori (Elaborazione GEA-WITHUB).

Ovviamente a prescindere dai singoli risultati.

Ma poi a decorrere dal 1995 (decreto legislativo n. 504) sono state -forse per un rigurgito di pudore politico, ma non è detto- cancellate le singole accise dedicate (delle quali si sarebbe anche potuto -volendo- cercare un riscontro quanto al raggiungimento dello specifico e dichiarato scopo), e prontamente sostituite da un’accisa unitaria per prodotti energetici, alcool, tabacchi ed elettricità.

C’è anche un altro aspetto destinato a rendere delicata la manovra sull’accisa del carburante: l’IVA, calcolata com’è per ultima, risente direttamente del valore dell’accisa e lo amplifica: se questo aumenta, essa aumenta a sua volta e viceversa se cala: onde abbassare l’accisa significa, per lo Stato, diminuire due fonti d’entrata e non una (e tenendo conto che sul fronte generale dell’IVA il tasso d’evasione è altissimo: 26 mld nel 2020 per l’Italia contro, a esempio, 14 mld di Francia e 11 mld di Germania).

 

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