HomeDialogandoNewsletterApocrifaAPOCRIFA – La profondità va nascosta. Alla superficie.

APOCRIFA – La profondità va nascosta. Alla superficie.

Dopo 30 di latitanza l’hanno trovato a 8 chilometri da casa sua, in un paese di 11.000 anime -che dalle fotografie non sembra neanche particolarmente congestionato dal traffico e dal passeggio- e davanti a dove abitava il suo alter ego con cui condivideva la medesima identità, artificiale, ma con timbro (sembra) autentico dell’Ufficio sulla fotografia scambiata.

E il cronista è stato comunque rassicurato dall’impiegato dell’anagrafe: l’intervento sulla foto, appiccicata con biadesivo, è semplice e così l’imprimitura del timbro a secco (simil originale) che si può reperire in una cartoleria ben fornita. Chi sa se agli esperti non possa venire utile una lezione privata sull’argomento.

E nello scorso settembre c’era anche stata, in un bar a un centinaio di metri dall’appartamento del ricercato, un’operazione di polizia con numerosi arresti (35) tra persone sospettate di essere sue fiancheggiatrici.

In luoghi dove, a quanto dicono, brulicano cimici e telecamere può capitare che qualcuno … Per vidirlo, l’hanno viduto, dottore. Ma, a quanto pari, nisciuno è stato in grado d’arracanoscirlo (Camilleri).

Il colonnello dei carabinieri che l’ha arrestato a Palermo, dove il trentennale latitante andava a farsi curare in una clinica privata e dove, a sentire qualcuno del posto, molti lo conoscevano, ha dichiarato che la somiglianza con le foto segnaletiche era impressionante.

Ma d’altra parte, come è stato sottolineato da qualcuno della clinica, è pur vero che i normali cittadini, diversi dagli investigatori, non sono tenuti a considerare le foto segnaletiche dei ricercati.

Della notizia e della vicenda circa la cattura di un pluriassassino già condannato all’ergastolo si sono prestamente impadroniti tutti, dai politici ai media e dalla giustizia alle forze dell’ordine, per sottolineare in toni trionfalistici questa vittoria sul crimine da parte dello Stato risoltasi nei fatti mettendo a termine la carriera del gran capo latitante di stato così infine assicurato alla giustizia.

A parte il fatto che averlo intercettato, sebbene dopo un imbarazzante trentennio di vacanza, è comunque un evento altamente positivo tale da giustificare la soddisfazione di magistrati e di forze dell’ordine pubblico direttamente coinvolte nella ricerca, si comprende in realtà molto più a fatica, se non sotto il profilo della convenienza, il giubilo di alcuni altri partecipanti, in particolare politici, al peana in onore della vittoria.

Voce fuori dal coro è quella del fratello del magistrato Borsellino assassinato nell’epoca stragista della mafia, che non ha mai cessato, al pari di altri familiari di vittime di Cosa Nostra, di tenere vivo sia il ricordo di chi non c’era più sia lo scandalo che gli assassini fossero e rimanessero in libertà e i loro mandanti coperti.

Per Salvatore Borsellino, tranchant, lungi dall’essere vittorioso lo Stato ne esce sconfitto poiché non riuscendo a intercettare il pluricondannato se non oramai alla fine della vita per malattia gli ha, di fatto, consentito di continuare l’attività, come ha dichiarato in televisione (Mattino Cinque) all’indomani della notizia: “Agiva indisturbato e con la spocchia di chi sa di poter mantenere l’impunità. Mi aspetto dei risultati dalle indagini ben diverse da quelle che ho sentite fino ad adesso. Ho sentito che sono state sequestrati Viagra e preservativi, l’importante è che emergano documenti. Quello era il covo veramente di Messina Denaro? Ne dubito. In 30 anni di latitanza ci saranno tutti una seria di covi e rifugi, spero che emergano risultati altrimenti mi resterà sempre il sospetto non di una cattura bensì di una consegna, ha deciso di farsi curare dallo stato”.

Questa lettura, a parte l’esacerbazione motivata e del tutto comprensibile, sembra però, anche se contro corrente e di minoranza (e forse proprio per questo), seria e tale da spingere un po’ più sullo sfondo il generale giubilo ufficiale perché va al cuore vicenda, su cui tanti che applaudono paiono avere scarsa contezza: Ecco, sono stati assicurati alla giustizia i capi di quella mafia che sicuramente è stato il braccio armato di quella strage, ma quelli che hanno voluto la morte di Paolo Borsellino, quelli che hanno portato avanti una scellerata trattativa tra pezzi dello Stato e la mafia … A me non interessa che venga preso Messina Denaro o Totò Riina, la mano armata delle stragi, io desidero che vengano assicurati alla giustizia i responsabili morali, se non anche dal punto di vista organizzativo, di queste stragi, e che venga alla luce quella agenda rossa che è stata sottratta dalla macchina di Paolo ancora in fiamme in via D’Amelio, e non da mani mafiose, ma da mani appartenenti a qualcuno che portava una divisa.

I prossimi eventi saranno quindi di sostanziale valore (attualmente sono state individuate altre due sedi clandestine, tutte in zona, ma vuote dei documenti importanti), e si vedrà forse qualcosa di più.

In difetto risulta obiettivamente arduo cercare di dare torto a Borsellino, presentandolo magari come un dietrologo.

Fra le tante possibili ancora un paio di riflessioni che, tra l’altro, confermano l’attualità dell’aforisma di Hugo von Hoffmanstahl messo per titolo di questo articolo (La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie).

Si ha la motivata, ma imbarazzante impressione che in certi italici luoghi l’acqua nella quale nuotano taluni pesci sia ben limpida e accogliente per i medesimi, ma del tutto opaca e infida di gorghi per i pescatori i quali, a volte, ci mettono anche del loro per ostacolarsi e spingersi a vicenda.

Nell’interessante e articolato servizio pubblicato il 19 gennaio su la Repubblica (I ricatti del boss), dopo avere riportato un precedente e sconsolante giudizio della p.m. procuratrice aggiunta di Palermo che coordinò per dieci anni, fino al 2017, le indagini per la cattura del nostro (Siamo di fronte a un grande latitante di mafia che ha un rapporto forte con la massoneria e la politica. E questo è il vero motivo per cui non è stato ancora arrestato) i giornalisti riportano anche una precisazione ancora più sconsolante della stessa magistrata, ora alla Direzione Nazionale Antimafia, la quale nel 2015, allo scopo di aumentare efficacia ed efficienza delle indagini volte alla cattura del latitante realizzò un’operazione che si stenta a credere dovesse essere necessaria, ma evidentemente lo era.

Essa racconta: “Con carabinieri e polizia firmammo un protocollo per puntare su un solo l’obiettivo: lavorare insieme, senza più gelosie o rivalità”.

Inizia quindi subito un lavoro di squadra sul campo e “Il confronto e la condivisione di informazioni fra i migliori investigatori di polizia e carabinieri fece fare un balzo importante alle ricerche. Ma non durò a lungo. Poco a poco, qualcuno a Roma iniziò a osteggiare il gruppo. Fino a che non venne sciolto. Una grande occasione persa, perché credo che mettere insieme le conoscenze e i metodi delle due forze di polizia ci avrebbe consentito di arrivare alla cattura”.

E’ amaro per il cittadino non addetto ai lavori conoscere aspetti così sconcertanti e, ancor più, venire a sapere che il gruppo operativo, iniziando a funzionare, tuttavia non durò a causa dell’ostilità di qualcuno a Roma.

Se dorme il prence, veglia il traditor osserva mesto e trasognato il Filippo II di Verdi (Don Carlo), ma tant’è e, nella Città Eterna, qualcuno in veglia pare ci sia sempre.

Poi ci sono le interviste sul territorio sovente surreali, ma che dicono qualcosa di più delle parole utilizzate:
quelle flautate che dichiarano di essere pronti a mettere la mano sul fuoco allo scopo di garantire l’integrità morale di questo o di quello (se l’ordalia si verificasse sul serio, forse qualcuno andrebbe in giro con la mano fasciata) e quelle un po’ più brutali che stigmatizzano l’arresto come un errore precisando che in trent’anni ci hanno mangiato tutti.

Nonostante le prese di distanza indignate e le contumelie anche televisive che sono piovute sulla dichiarazione, queste poche parole disegnano la situazione ed esprimono il pensiero di una certa parte della popolazione (sfortunatamente non piccola) con ben maggior precisione e verità delle teorie di tanti esperti: un latitante di stato straricco perché pur sempre in attività e liquido senza fine, radicato sul suo territorio in modo tale da rimanere immerso, invisibile e però sempre avvertito in tempo se un amo gli si avvicina, è una manna certa per molti (altro che reddito di cittadinanza, sussidi e cassa integrazione) e per di più del tutto interclassista, dal più piccolo al più grande: perché è necessaria la cooperazione di tante persone: da quelli che non visti guardano da dietro alle finestre chiuse (le foto pubblicate su questi scenari sono curiose e potrebbero essere lo sfondo per un racconto di Sciascia: sole battente, nessuno in circolazione, imposte e tapparelle costantemente serrate) a quelli che compongono e governano la rete degli affari (imprenditori, professionisti, politici, amministratori etc) sempre peraltro, come sembra, in efficacie ed efficiente movimento.

LMPD

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