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APOCRIFA – Democrazia collettiva

Il recente show del signor past president statunitense, ultimo di tanti e avanguardia di più numerosi futuri, in occasione della sua novella incriminazione davanti alla Corte penale di New York, ha svelato o ri-portato all’attenzione di qualche osservatore un pensiero che con ciclica regolarità attraversa la mente degli studiosi, specialisti o meno che siano: è proprio vero che la democrazia è la peggior forma di governo esistente, a eccezione di tutte le altre forme che si sono sperimentate fino a ora e che si continuano a sperimentare, peraltro con indubbio successo, nella più gran parte (in termini di numero di sudditi e di estensioni territoriali) delle nazioni.

Pensiero formalizzato e applicato da un coriaceo e brillante conservatore che condusse il suo Paese a tenere testa ai nazisti anche quando i generali comunicavano al loro padrone che l’Inghilterra era oramai bollita e pronta a essere invasa fisicamente e che, democraticamente, fu messo da parte alla fine della guerra.

Nessun dubbio che gli USA siano una giovane-vecchia (dipende dal parametro di osservazione) democrazia reale e infatti -nonostante un elevato grado di ipocrisia sociale largamente diffusa in diversi campi- consentono si mostri al mondo uno scenario di dubbio gusto.

Fatto che, con molta probabilità, conferma tanti autocrati in servizio permanente circa la maggiore efficacia, in termini di immagine pubblica, della repressione preventiva e comunque della comunicazione e stampa unicamente di regime e a voce unica.

Negli USA c’è il vizietto della libertà di stampa che, come per altri vizi, è più facile mantenere che perdere sacrificandogli, nel caso, anche il pelo.

E fino a quando è in grado di operare una stampa senza museruola e obiettivamente dotata di capacità professionali adeguate (guardate il ruolo di NYT e di WP nella vicenda leak) sia la pubblica opinione sia i potenti non possono che misurarsi con una realtà comunicativa a fonti plurime difficilmente influenzabile cui eccezioni negative, possibili ovunque, confermano tuttavia la regola.

Per dirne una ricordo, anni or sono, in occasione di un subentro nella proprietà di una importante testata, l’analisi in dritto e rovescio (in pratica: una radiografia) che scrisse sul nuovo padrone uno dei suoi giornalisti economici: approccio non esattamente riscontrabile altrove.

Con un cane da guardia di tal fatta difficilmente allora i panni di famiglia sono lavati in cantina sebbene i potenti di turno, il cui DNA è coperto da identico brevetto ovunque, ci provino, ma per lo più applicando  tacòn pèso del buso ed esponendosi a gran brutte figure là dove la forma è (anche troppo) considerata talvolta sostanza.

Basta, e. g., rivedere le vicende -in particolare noi smaliziati e scettici italiani fatichiamo a misurarle nel loro contesto originale- di quei grandi, ma tapini responsabili per svelamenti a posteriori di avere infilato le mani nel vaso della marmellata o meglio sotto il cuscino della bellona (qualche volta anche ex bella) di turno che ne fanno formale e pubblico riconoscimento nonché ammenda con a fianco la legittima consorte il cui sguardo asiaticamente imperscrutabile fora gli obiettivi dei reporter e instilla qualche fondata né peregrina preoccupazione sui domestici e privati colloqui serali.

Del signor past president, sotto la lente degli inquirenti non solo nello Stato di New York e per altro che, almeno a prima vista e senza conoscere le carte, sembrerebbe più serio, è stata notata -a valle dell’incriminazione per avere, secondo l’accusa, pagato il silenzio di due relazioni extra coniugali- l’assenza della pur convivente consorte.

Tra l’altro sono curiosi anche i processi logico-giuridici dei procuratori inquirenti: una miscellanea etico-sociale (avere impedito la pubblicazione di memorie erotiche comporterebbe un vulnus alla regolarità dell’agone elettorale per consapevole manipolazione da parte del candidato della propria figura: in altre parole, se avessero saputo della sua tendenza a correre la cavallina, pochi o tanti dei suoi elettori non lo avrebbero invece votato) e giuridico-fiscale (il denaro è uscito dalle casse aziendali in modalità irregolare).

Curiosi, del pari, due aspetti di certo marginali, ma non del tutto irrilevanti (non solo negli USA).

Il primo è come soggetti benestanti e in grado di permettersi anche qualche distrazione tendano a non farlo di tasca propria, ognuno è libero di spendere come crede il suo, ma preferibilmente di tasca dell’azienda seppure con qualche rischio maggiore.

Sindrome da potenza, forse, o consuetudine ad arare il campo altrui: rispetto al sé medesimo anche la propria azienda è altro soggetto.

Il secondo è che vivaci signore, peraltro dotate di una certa qual scafatura etico-sociale e non certo di primo pelo, saltino ex abrupto o non considerino rilevanti differenze di anni ghermite come appaiono da irresistibile (per loro, si capisce) invaghimento vs l’attempato (e fino alla galeotta occasione sconosciuto) ganimede di turno che ben potrebbe essere loro padre: tendenza alla necrofilia, magnetismo dirompente della estrema maturità maschile o vaghe stelle di futuri dobloni?

L’indagato, nella specie, nega sdegnoso sottolineando non essere nemmeno, una delle signore, il suo tipo e certo, se lo dice, sarà anche vero, ma a qualcuno viene pure in mente l’Armando dell’indimenticabile Jannacci.

In ogni modo tutto questo è democrazia poiché il past e allo stesso tempo futuro ancora candidato potrà usare, se è sempre abile a manovrare come ha dimostrato, le impronte digitali che gli sono state prese (oltre a tutto a istanza di un procuratore di colore) come supporto strategico all’operazione MAGA (Make America Great Again) sempre in corso e in evoluzione: e la futura risposta dell’elettorato contabilizzerà in voti la sua prossima democratica risposta.

Il numero dei voti, ricevuti o persi, non è ovviamente prova di giusto o ingiusto e di vero o non vero (il Signore Iddio c’è anche se la totalità del corpo elettorale vota contro), ma in questo sistema di governo pur largamente migliorabile non è però ancora stato trovato qualcosa di meglio atto a decidere intorno alle cose di Cesare opportunamente separandole da quelle di Dio: dobbiamo quindi accontentarci della democrazia.

Quantomeno gli elettori si ciucciano, ma a tempo, chi hanno scelto consapevolmente o meno e possono perfino confidare di cambiarlo un domani.

Speranza che, ahiloro, difetta in tante miriadi di nostri colleghi e colleghe, cittadini e cittadine del mondo meno fortunati i quali, volenti o nolenti, si devono tenere sul collo il loro lider maximo vita natural durante (dell’uno o dell’altro).

Ancora un appunto sottolinea la ambivalenza (buono/cattivo) connaturata nella democrazia.

Nessun osservatore, negli USA, fa allo stato previsioni su come sarà la società nel prossimo futuro, all’uscita dal tunnel delle elezioni presidenziali che pur dovranno tenere conto e in qualche modo cercare di risolvere la violenta divisione ideologica e la radicalizzazione innestate, in particolare, dal past che si ergono a destra e a sinistra come le due sponde del Mar Rosso biblico, ma abbastanza sicuro è che un qualsivoglia sistema democratico (più o meno ben scritto non rileva perché lo scritto comunque non basta mai) debba affondare le sue radici in una estesa maggioranza di collettiva e consapevole adesione culturale e di comune opinione che, a parte e indipendentemente dai molteplici soggetti agenti e dai rispettivi colori, ne accetta comunque presupposti e regole difese e fatte salve dai più.

Diversamente è una deriva verso l’inganno politico e il caos che possono portare lontano.

LMPD

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