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APOCRIFA: Guerre di religione

Dopo anni di più o meno sottili equilibrismi per evitare di dover riconoscere una realtà sgradevole e prendere conseguenti ed ancora più sgradevoli decisioni, l’Europa, pur con diverse sensibilità, realizza di essere in guerra.

Una guerra formalmente anomala, come formalmente è anomalo il Paese che la muove, ma non per questo sostanzialmente troppo diversa dalla guerra in sé, non tanto come la si ricorda in termini tradizionali (dalla fine della seconda mondiale, da noi c’è stata tranquillità) quanto come la si è vista e la si vede altrove nel mondo, nei luoghi senza pace.

Un insieme di situazioni tragiche che si sviluppano su due piani i quali nemmeno sempre si intersecano del tutto: sconosciuti senza nome o divisa assalgono cittadini inermi, mettendo in programma a priori di lasciarci la vita, e caccia a costoro da parte delle forze dell’ordine, da un lato, mentre, dall’altro, si sviluppano azioni militari per lo più telecomandate o a distanza nei confronti di territori e forze avversarie.

Il conflitto, proteiforme, presenta etichette e sostanziali connotazioni religiose anche se nella lettura più negativa che è quella dell’integralismo e della conseguente idolatria le quali conducono empiamente al dio della morte laddove le religioni si rivolgono senza eccezione a un Dio in ogni caso della vita.

Poi in realtà, nel calderone della storia, le motivazioni più vere delle armi sono invece riposte nelle necessità, chiamiamole così, derivanti dall’esercizio del potere e del suo mantenimento onde un’antica ipocrisia, inestirpabile come la menzogna politica, le copre velenosamente sotto spoglie religiose per raggiungere la più alta efficacia. Che è, spiritualmente parlando ed a qualsivoglia credo ci si riferisca, la più nefanda delle perversioni.

La guerra che l’Europa ha fino all’ultimo cercato di negare, principalmente a se stessa, è combattuta, da parte dell’avversario, in modo proditorio ed attingendo con sorprendente facilità al grande serbatoio senza nome del fallimento. I soggetti arruolati, sostanzialmente in giovane età, che si convertono al terrorismo sono soggetti umanamente falliti lasciati o rimasti ai bordi di integrazioni sociali e culturali fallite (quantomeno nei grandi numeri e salvo le eccezioni che, confermando la regola, sfortunatamente non sono in grado d’influenzare positivamente la crisi). Sono i ghetti nei quali l’avversario pesca con disinvoltura, utilizzando con scaltra e sinistra efficacia anche le moderne tecnologie: e lo scambio che è proposto ed accettato, la vita per un’idea (ancorché abnorme e scellerata: ma per noi, non per loro), misura tutta la gravità, allo stato attuale irreversibile, del fallimento in parola su cui continua a gravare un irreale silenzio.

Su questo fronte la battaglia è difficilissima poiché non c’è mezzo da contrapporre se non la prevenzione: ma come? La ‘scoperta’ che in Belgio ci sia un covo siffatto stimola la domanda circa dove fossero, in questi anni, le pubbliche autorità preposte. E’ verosimile pertanto che il terrorismo, disgraziatamente avendo questa matrice, continui ancora poiché il processo che lo sostiene è, tra l’altro, privo anche di quel deterrente minimo e solitamente diffuso che è l’istinto di salvaguardia della vita.

Nondimeno le possibilità di (giusta e legittima) reazione verso queste infamie sono anche altrove: non solo nella coda del rettile, che ricresce rapidamente, ma nella testa (o nelle teste) non necessariamente localizzata in uno specifico territorio.

Le teste sono infatti costituite dal denaro, dalle armi, dall’informazione.

Per condurre una guerra sono necessari fiumi di denaro: qualcuno (tanti) glieli fornisce e certo non appartiene alla classe sociale di quei disgraziati che si fanno saltare in aria dopo aver assassinato decine di loro simili. Né mai si fanno saltare loro, preferendo mandare gli altri.

Sono necessarie le armi: essi non sono in grado di fabbricarsele: qualcuno (tanti) gliele fornisce comprese le più aggiornate istruzioni.

E’ necessaria l’informazione (tanta): è tempo che, ad ogni livello, si impari bene almeno una lingua straniera e finisca questa farsa di consentire l’indottrinamento sotto il naso di chi dovrebbe vegliare per la sicurezza dei cittadini.

Ci si può anche continuare a illudere che basti mandare i droni e i bombardieri ad innaffiare il deserto, ma si dovrebbe per contro valutare, al fuori del politicamente corretto (che va una buona volta abolito), quale siano mai le parole e la mentalità in famiglie neanche integraliste, o supposte tali, se delle ragazzine di quindici anni escono di classe per non essere coinvolte nel minuto di silenzio a ricordo di Parigi.

La ricerca delle teste va fatta senza le infingardaggini e le ipocrisie che, lasciando spazio ad una controparte molto più intelligente di quanto non sia valutata (li hanno chiamati ‘idioti dell’orrore’, ma tutto sono salvo che idioti), rendono vana una qualche reale difesa. Riconoscendo (e quindi modificando di conseguenza anche e soprattutto le rispettive politiche) che l’uovo del serpente non è apparso per magia, ma ha (anche) molti padri naturali e putativi responsabili di menzogne e doppi giochi, a copertura dei rispettivi interessi, che sono ancora in circolazione e persistono a pontificare: affari e intrallazzi con i medesimi tiranni, petrolio e armi, manovre geografiche senza considerarne, per iattanza o irresponsabilità, le conseguenze destabilizzatrici impossibili da governare. Di costoro ne abbiamo tanti, da ringraziare.

Come si vede (e si sa), il mostro uscito dal grande porcaio è lungo assai e certo non è meno mostro per il fatto che si abbia (anche) contribuito al suo mangime, ma senza un ritorno ad un accettabile minimo storico di consapevolezza reciproca basata, quantomeno, sulla comune buona volontà il conflitto non sarà risolto.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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