APOCRIFA: Sentieri

La recente esperienza elettorale francese suggerisce l’opportunità di non mescolare alla politica anche la retorica (Oltralpe come da noi), esercizio che oltre a non avere mai portato beneficio ad alcuno, eccettuato -in modo temporaneo- qualche trombone, aumenta altresì la difficoltà di capire.

Se dalla comprensione della realtà, quantomeno nella misura del possibile, si ritiene che valga la pena fare partire la decisione politica.

Non sappiamo, quindi, se la Repubblica abbia fermato il Fronte e, se affermativo, per quanto tempo ancora ove rimangano inalterate le condizioni che spostano tanti numerosi cittadini verso l’estrema destra, compresa una parte che probabilmente non voterebbe per la sua proposta politica originaria. Se poi si somma l’elettorato che vota per i Repubblicani si vede che lo spostamento dell’asse politico in atto è molto sensibile. A fronte di che l’attuale governo, comprensibilmente preoccupato per i prossimi appuntamenti (non regionali), sta imboccando la strada delle armi che tradizionalmente, da sempre, realizza l’obiettivo di distogliere l’attenzione rivolgendola in una prospettiva più lontana e di tenere alta la tensione emotiva.

Uguale obiettivo, e se possibile anche di aumentarla, è quello di madame per cui rimane pericolosamente a rischio un’azione politica reale di recupero su periferie e territori depressi che, sfortunatamente, richiede tempi non compatibili con le contingenti scadenze elettorali (a meno di non avere a disposizione statisti veri, che mancano): così l’integralismo jihadista fa comodo ad ambedue i sentieri. Opposti, paralleli, convergenti.

L’esperienza disastrosa (da ultimo) della Libia, che tra l’altro porta la firma del precedente presidente ora di nuovo in lizza, non sembra avere mostrato che oltre agli aerei ed ai proclami ci vuole (ci vorrebbe) ben altro.

Nella realtà, viceversa, sembra che molte scelte o comportamenti dei cittadini, non ultime quelle politiche, siano indotte, come è verosimile, dalla paura circa il proprio presente e futuro e dal non capire gran che su come intendano muoversi i governanti in rapporto non tanto agli interessi di potere personali o di partito quanto (anche) ai propri. Che sono il motivo per cui, tutto sommato, una comunità civile ha il titolo, diciamo così, di stare insieme.

Molto probabilmente il medium che stimola tante (sorprendenti) risposte è una proposta politica atta ad intercettare al livello più raso terra possibile la paura dell’ignoto e la sfiducia nella classe dirigente pro tempore, a prescindere beninteso sia dalla possibilità di realizzarla sia della sua intrinseca validità. L’uscita del miliardario circa la chiusura dei confini USA agli islamici delinea l’idea non di un singolo esagitato, ma di molti. E si potrebbe continuare.

La radicalizzazione emerge dal campo rimasto incolto della cultura politica che non è da confondere con la logorrea (anzi) dei propositi più o meno corrispondenti a continue esternazioni al posto delle azioni a fronte di esigenze reali: che sono, ad esempio, la sicurezza (di vita e di lavoro) e la prospettiva (vera o no la sostituzione della popolazione attuale con quella che si sta muovendo in massa verso di noi? O più esattamente: che da fuori muovono in massa verso di noi?).

Il clima, poi, è peggiorato e non poco dal particolare che non se ne trovano due, a livello politico, i quali non si smentiscano regolarmente litigando su qualsiasi cosa e questo induce non tanto a rimpiangere la scomparsa della logica e della credibilità (non scomodiamo la verità) quanto piuttosto a dare (anche temerario) credito a chi parla chiaro e forte, sebbene con contenuti e modalità analoghe a quelle di un cinghiale nell’orto.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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