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EDITORIALE

Scrivevo precedentemente del vezzo di dubbio gusto dei politici di frequentare i luoghi pubblici per farsi comunicare a contatto con il ‘territorio’, alias la gente comune, allo scopo di trasmettere mediaticamente un’immagine di sé come di persona alla mano, attenta ed anzi sollecita nel contatto diretto con tutti gli strati della cittadinanza anche quella normalmente meno considerata se non, ciclicamente, in prossimità delle elezioni.

Pochi giorni addietro un noto politico, scelto un importante e trafficato mercato rionale milanese, vi si è presentato con due giovani e volonterosi aiutanti per adempiere all’ufficio.

Confidando verosimilmente nella propria nota fisionomia pubblica, e pertanto riconoscibile ictu oculi senza necessità di presentazione, avvicinava con un sorriso smagliante a molteplici denti le signore intente alle usate visite delle bancarelle raccogliendo nondimeno una serie di inaspettate e poco gradevoli sorprese: le brave massaie non solo tendevano a non riconoscerlo come tale (magia della televisione: sullo schermo esisti, fuori no), ma ahinoi lo scambiavano pure per un piazzista o giù di lì che si proponesse di rifilare loro qualcosa e più o meno garbatamente, ma in modo inequivoco, gli dichiaravano il loro totale disinteresse al colloquio.

In verità il contatto con il territorio, se fosse da costoro utilizzato per conoscere qualche sfaccettatura della realtà e non solo a mere finalità elettorali, suggerirebbe che la gente comune, oberata di problemi (dal lavoro alle tasse, dalla indigestione quotidiana mediatica di notizie allarmanti alle paure ed incertezze personali etc), ne ha abbastanza delle parole, diversamente dai teatrini televisivi i quali, fini a se stessi, sulle parole, insulti compresi, vivono, ma che attende, sperando poiché altro non può fare, fatti.

E un’ultima riflessione riguarda il particolare, banale finché si vuole, ma d’inciampo per più di uno, che siccome per realizzare i fatti è necessario lavorare, e molto, l’intensa vita di relazione pubblica e privata, anziché di ufficio (in ogni senso) di troppi politici confligge inesorabilmente con la reale possibilità di produrre altro che, per l’appunto, parole.

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