HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoL’APPROFONDIMENTO: La scienza della preghiera

L’APPROFONDIMENTO: La scienza della preghiera

Racconti d’Oriente…

Inestimabili, quasi inspiegabili (prima che la scienza ne spiegasse i meccanismi), sono gli effetti della meditazione o della preghiera, se coltivati. Negli antichi testi orientali si trovano numerosi racconti.
Recitare i Sette fattori di Illuminazione, per esempio, era usato come protezione (paritta) contro la malattia e le afflizioni.
In tre occasioni diverse, nel canone pali, Maha Kassapa, Maha Moggallana (i principali discepoli del Budda) e il Budda stesso erano gravemente malati. Ascoltando la recitazione dei Sette fattori di Illuminazione ognuno di loro guarì dalla propria afflizione e malattia.

Ecco la storia di Maha Kassapa: il Budda stava a Rajagaha, nel Canneto, il posto dove gli scoiattoli trovano cibo. A quel tempo Maha Kassapa giaceva nella grotta Pipphali abbattuto e gravemente malato. Il Signore andò a fargli visita, si sedette sul sedile preparato per lui e disse: “Allora Kassapa, come va? Stai affrontando bene la malattia, la stai sopportando bene? I tuoi dolori diminuiscono o aumentano? Ci sono segni che i tuoi dolori diminuiscono e non aumentano?”. Egli rispose: “No Signore, non ho resistenza, non sopporto la malattia. I dolori non diminuiscono, ma al contrario aumentano”. Allora Budda disse: “I Sette fattori di Illuminazione, ben conosciuti e sviluppati da me, portano alla fine della sofferenza ed essi sono questi” e li recitò. Allorché ebbe finito, Kassapa disse: “In verità, o Pregevole, questi sono i Fattori di Illuminazione” e gioendo accolse le sue parole e guarì dalla sua malattia.

Un’altra volta il Budda si trovava nello stesso posto, a Rajagaha. A quel tempo il Venerabile Moggallana viveva sulla collina di Gijjhakuta, il picco degli avvoltoi, ed era colpito da una grave malattia. Il Budda gli fece visita e tenne il medesimo discorso. L’anziano Moggallana ascoltò la recitazione con appropriato rispetto e anche lui superò la sua malattia.

Una terza volta, mentre Budda stava nella stessa città, nel Canneto, egli stesso era afflitto da una malattia e soffriva gravemente. L’anziano Cunda andò a fargli visita, gli porse i suoi rispetti e si prese cura di lui. Budda, allora, chiese all’anziano Cunda di recitare i Sette fattori di Illuminazione nel modo in cui egli li aveva spiegati. L’anziano Cunda lo fece e alla fine della recitazione il Budda approvò e si ristabilì dalla malattia.

Coltivando la preghiera, noi di fatto sviluppiamo in noi questi Sette fattori d’Illuminazione (che corrispondono alle qualità “sane”) che praticati in questo spazio, si alimentano e si autoalimentano trasformando la nostra fisiologia fisica, mentale, emotiva.

Con la preghiera noi sviluppiamo consapevolezza (una capacità innata di presenza mentale che è già di per sé fonte di miglior benessere), ponendo energia (una gentile disponibilità a fermarci) e perseveranza (gentile disponibilità a portare avanti questo spazio, difendendolo dalla calca di impegni e pensieri) e scopriamo così una nuova tranquillità (la possibilità di stare a nostro agio in quel momento, la capacità di posare il cuore nella situazione in cui ci troviamo, qualunque essa sia, assaporando la pace di cui ogni momento presente è permeato), coltivando equanimità verso qualunque cosa sorga e scoprendo una condizione di gioia (che è la qualità innata della mente, e che troppo spesso trascuriamo coprendola con l’idea dell’insoddisfazione o dello sforzo). Quindi la concentrazione, che è la rilassante capacità di poter dimorare nel presente, impedendo all’energia di disperdersi in distrazioni o reattività, e sviluppata dirigendoci su quel semplice oggetto che è la sensazione del nostro respiro.

Ne nasce una visione profonda permeata da benessere fisico e interiore (piti) che possiamo verificare, noi stessi e in noi stessi, possibile in ogni condizione nella quale ci troviamo.

“Mi sembra di aver cambiato il DNA” mi trovai a esclamare a distanza di tempo, da quando avevo intrapreso un cammino di meditazione.
La mente diventa una riserva di compassione, chiarezza, equanimità, capace di restituire trasformati gli stati, eventi o impulsi dannosi che possono insorgere nel corpo o nella vita e di consolidare una risposta positiva la quale si riverbera in direzione di un completo benessere, nostro e degli altri.

Il fattore cruciale

E’ il ruolo di un Maestro, che sa creare le giuste premesse (le giuste modalità) che, quasi per contagio, ci trasformano.
Egli incarna ciò che ci accompagna a fare rendendo facile e benefico il nostro inizio.
Il nostro scoraggiamento deriva spesso dal pensiero che noi non siamo capaci o non abbiamo tempo, e questo ci fa addirittura innervosire, o non siamo adeguati.
Ma l’essenza della pratica non sta -che sollievo!- in una fatica o nel graduale miglioramento di noi stessi o del nostro carattere: sta nel lasciar andare gli ostacoli che oscurano le qualità innate della mente.
Quando nella mente si ha un assaggio della sua naturale condizione di equanimità (samadhi), notiamo come i nostri atteggiamenti e valori cambino. Ci rendiamo conto che indugiare in forme anche sottili di rabbia, malevolenza o avidità sia doloroso e futile.
Ci stupiamo di non averci pensato prima.
La mente per mezzo della stabilità del samadhi perde le sue (istintive) reazioni abituali agli oggetti/eventi e la nostra risposta interiore e fisica spontaneamente si modifica.
La pratica svolta in modo corretto (con le attitudini corrette) offre da subito un assaggio degli spazi della mente e questo crea una sensazione di benessere che, poi, induce nostalgia.
Così il richiamo a coltivare questi stati, sempre e in modo naturale, assume forza e fiducia e facilità accelerando ulteriormente il nostro cammino in direzione del benessere. Sorge la semplicità: in fondo, non si trattava di fare per nulla qualcosa di difficile, ma di lasciar andare i nodi nei quali rimanevano impigliati e che erano, questi sì, così stancanti e faticosi. Possiamo, con sollievo, lasciarli andare.
L’oriente da millenni crede nella natura innata di luminosità della mente. E gentilmente, ci porta a scoprirla.

(La prima parte di questo articolo, La potenza della preghiera, sulla salute, è stato pubblicato sul precedente n. 98 di Dialogando)

Elena Greggia
Orientalista e ricercatrice, Milano

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