APOCRIFA: Perfezione

Pochi sono convinti, è da ritenere, che mettere il naso e le mani nel governo del Campidoglio, dopo anni di criticità molteplici sotto diverse bandiere sia un’agevole passeggiata e non piuttosto un percorso difficile irto d’ostacoli. Come solo un ingenuo può illudersi che un’opera di necessario e coordinato rinnovamento politico-amministrativo adeguato alle necessità civiche possa utilmente realizzarsi nel corso di un breve periodo di tempo. Anche avendo a disposizione tutte le figure giuste ai posti giusti, prospettiva che rischia di suonare un po’ utopica posto che, nella vita, tutto o quasi si può almeno di regola fare in più e in meglio.

Quindi hanno poco senso le polemiche che, da subito ed offuscando lo smalto della vittoria elettorale, accompagnano la nuova autorità comunale lungo la strada del fare (che sarà ingente e per la quale è necessario un credito in termini sia di tempo sia di fiducia alla luce non più di proclami a priori, ma del qui è Rodi e qui salta), mentre ben più fondate appaiono le considerazioni e le perplessità circa il metodo e il comportamento messi sul tavolo da parte dei loquaci vincitori.

Questi sono sembrati, quantomeno fino ad ora, non dissimili da quelli dei tradizionali (e criticati) partiti sotto il profilo della confusione, poca trasparenza (uso double face dell’avviso di garanzia compreso), comunicazione discordante, rissosità reciproca: attributi già visti e sperimentati (oltre che giustamente demonizzati) i quali, in ultima analisi, possono incrinare la confidenza preventiva anche nelle effettive capacità operative peraltro non ancora messe in funzione o, comunque, a regime: in certe occasioni anche la forma può diventare non marginale sostanza.

Movimenti o partiti che intercettano forti propensioni verso il cambiamento presenti nella società civile e di questo vento gonfiano le proprie vele aumentando progressivamente l’efficacia della propria navigazione verso mete sempre più rilevanti (fino ad aspirare e presentarsi come alternative di governo) devono stare attenti a non dimenticare la rotta che, tra l’altro, annunciano in tonalità non certo sommesse né stupirsi più di tanto se le loro mosse sono poi seguite con attenzione, talvolta eccessiva, dai terzi (avversari compresi).

La Lega ebbe una considerevole fortuna politica quando si presentò ai cittadini elettori, arcistufi dell’inveterato malaffare politico-amministrativo nazionale, con il proposito di intervenire efficacemente per il risanamento morale pubblico cominciando da Roma ladrona, laddove i rituali di Pontida o delle ampolle delle acque del Po o delle camicie verdi con lo schioppo, fortunatamente, riscaldavano la fantasia o l’immaginazione solo di pochi eletti.

I 5Stelle si sono presentati, a loro volta, come innovatori della politica stanca ed asfittica (corruzione et inciuci) della sterile Seconda Repubblica (che sta dando un significativo contributo alla rivalutazione -almeno sotto il profilo delle competenze professionali dei soggetti- della Prima) rifiutando contaminazioni e compagni di viaggio e proponendosi come altra alternativa politico-amministrativa in fatto e in diritto. Anche questo progetto ha infiammato molti cuori stanchi e sfiduciati che sono accorsi ad un richiamo obiettivamente diverso ed ha stimolato (positivamente) l’apporto di nuove forze e di rinnovati entusiasmi.

Ora, in scia alla falsa partenza del Campidoglio ed alle sue conseguenze, l’inventore dei grillini, leader e garante dei 5Stelle, ha recentemente scritto un articolato intervento al Corriere con il quale, in sostanza, dopo avere palesato stupore e fastidio per l’attenzione (eccessiva, ma quando ci si mette al centro con il proposito di rendere Roma la più bella capitale del mondo qualche rischio c’è) maniacalmente riservata alle vicende sia della giunta capitolina sia dei contraccolpi nell’organizzazione perviene ad individuare la causa: sarebbe che troppa gente vuole la perfezione. E poiché essa non esiste se non nell’invenzione o nel sogno (anzi essa è caratteristica di chi vuole di dittatura…) la conclusione è che anche quei perfettoni dei grillini sono così…come gli altri.

Non ci siamo: lo schema è di maniera e cerca di sviare la considerazione che i grillini, allo stato, non sembrano essere o comportarsi dissimilmente da coloro che essi stessi criticano, ricorrendo, invero strumentalmente, ad un abbaglio.

Con tutto il rispetto per l’intelligente e l’abilità della persona e per quello che vale (poco) il parere di un semplice cittadino, dal mio (piccolo) osservatorio se c’è un desiderio non mai proprio percepito, neanche indirettamente, nelle persone che votano è quello della perfezione. E tanto meno in prospettiva politica.

La gente non sogna politici perfetti (il meglio è, non da oggi, nemico del bene), ma auspicherebbe politici sufficientemente onesti e sufficientemente competenti (anche questo è un lavoro che, dopotutto, bisognerebbe saper svolgere) i quali, utilizzando al meglio il tempo a loro disposizione (sono 24 ore al giorno anche per loro), siano in grado di realizzare, operando nei rispettivi uffici più che proclamando, litigando o pavoneggiandosi nei convegni o in TV, almeno una parte dei risultati che hanno promesso e ri-promesso.

La gente vorrebbe nei politici meno solipsismo, meno sicumera, meno violenza, meno iattanza e meno saccenteria in compagnia, possibilmente e quando serve, di qualche barlume di autocritica (non alla sovietica o alla cinese, beninteso), di umiltà (che poi altro non è che percezione, anche se vaga, dei propri limiti dato che qualcuno l’hanno anche loro), di autoironia e -perché no?- di educazione.

L’imbarbarimento generalizzato dei costumi che ci circonda ha trovato legittimazione e preclari esempi (che come d’uso vengono dall’alto) nella politica (chiamiamola così) dell’urlio, dell’avversario nemico, della volgarità e degli slogan fini a se stessi.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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