APOCRIFA: Etica

Etimologicamente si fa riferimento ai costumi ed al comportamento del soggetto umano, cioè alla sua pratica nella vita, mentre in prospettiva più filosofica o teologica si aggiunge una prospettiva o qualificazione di segno positivo: propensione verso il bene, utilizzo finalizzato della ragione e della volontà secondo principi morali, di derivazione divina, naturale, filosofica…, atti ad orientare scelte e relazioni.

Rimanendo sul piano strettamente etimologico, e prima ancora di collegare il comportamento a principi morali, l’etica è forse meno difficile da considerare poiché, almeno in prima battuta, l’esercizio si avvicina ad una osservazione di quanto per lo più succede intorno a noi: si avverte probabilmente l’esistenza di una scissione abbastanza generalizzata rispetto a riferimenti più tradizionali o principi condivisi e quindi aventi un minimo di valenza sociale.

Senza cadere nell’illusione ricorrente del laudator temporis acti (la signora, che se ne intendeva, osservava che sempre e comunque gli anni passati hanno il sedere più roseo) possiamo ammettere che fin a decorrere dai primi anni di vita -caratterizzati da reciproche disattenzioni intercorrenti fra famiglie e scuola, non di rado in contrasto per svariati motivi- manca, ad esempio, una seria rilevanza circa l’educazione: non intesa, si capisce, come maniacalità verso forme esteriori, ma come minimo accettabile di interrelazioni di vita in uno spazio (e tempo) obiettivamente e necessariamente ristretto.

La conseguenza pratica dell’esempio è sotto gli occhi di chi usi un mezzo pubblico qualsiasi dove i giovani, anche ragazzi, non cedono più il posto ai vecchi (lo fa ancora qualche extracomunitario) e dove sono i genitori stessi a piazzare il bambino sul sedile vicino al proprio anziché tenerselo sulle ginocchia.

La medesima mancanza di riguardo verso la socialità in genere si riflette nella confusione (prepotente) della circolazione in cui ciascuno -automobilisti, autisti di veicoli commerciali, motociclisti, ciclisti, pedoni- tende a fare al meglio la propria parte, secondo lo schema noto della sindrome del crowding & cramping, in termini di prepotenza e di nervosismo da scaricare altrui.

L’educazione civica è passata di moda da un pezzo e, realisticamente, un giovane apprende gli schemi civici sostanzialmente dall’esempio intorno a sé.

Gli adulti, a cominciare dai potenti, si insolentiscono con sorprendente facilità utilizzando turpiloquio non di rado al posto di auspicabili motivazioni, fondate o meno queste possano essere se è vero che la libertà di opinione è un valore, e mentono in modalità da toccare la farsa: non c’è quasi asserzione che non sia regolarmente contestata, da terzi o dal soggetto medesimo che l’ha pronunciata, in modo che non è (quasi) mai possibile conoscere non tanto la verità, parola impegnativa, quanto nemmeno la verosimiglianza.

In tal modo, tutto essendo sì e contemporaneamente anche no, brulicano e fanno razza i parolai vestiti da imbonitori nella fiera continua delle reciproche vanità.

Da non dimenticare, in questo panorama appena accennato, la disonestà e il furto nelle sue varie estrinsecazioni, dalla cosa pubblica (e quindi non della collettività, ma di nessuno e quindi a disposizione del più furbo) a quella privata.

In un siffatto scenario rischiano di annegare i profili seri che pur continuano ad esistere, sebbene in proporzione critica, poiché diversamente staremmo già ancora peggio.

L’etica, quindi, si avvicina ad una libertà prettamente personale, vissuta per lo più in termini egoistici, senza freni né inibizioni che evidentemente è da molti ritenuta una conquista non rinunciabile.

Laddove la libertà, attributo moralmente tanto elevato sopra ogni altro da poter essere considerato (per chi ci crede) un dono divino, ha bisogno della cooperazione consapevole (che comprende la coscienza della responsabilità delle scelte) per esistere e, esistendo, servire all’uomo ed alla collettività.

La licenza, viceversa, è il paradigma dell’homo homini lupus e, poiché l’unione fa la forza anche fra i malandrini, delle sue bande e, in fin dei conti, delle sue laide macchiette.

È difficile immaginare che sia compito della magistratura, in particolare delle Procure la cui funzione è ben diversa (indipendentemente dalle altalenanti strumentalizzazione che la mala fede politico-sociale fa del suo lavoro, a seconda delle risultanze), riempire un vuoto etico la cui genesi rimane, sciaguratamente per il Paese, generalizzata nella popolazione e senza un’opera di ri-civilizzazione per la quale ci vogliono, in ogni caso, degli anni.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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