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EDITORIALE:

Alla base delle decisioni, anche in sede politica ed amministrativa, dovrebbero esserci sempre ricerche e conoscenze di dati, se disponibili.

Diversamente il dibattito diventa, o rimane, ideologico: cioè, nella maggioranza dei casi, parole. Oggi queste, domani altre.

La vicenda dell’area C milanese (quella dell’entrata dei veicoli a pagamento), ad esempio, si arricchisce di nuovi particolari indotti dalla decisione del Comune di far pagare l’ingresso anche ai veicoli a gas con la motivazione che oramai le vetture a gas o metano inquinano tanto quanto i motori Euro 6. La realtà è un po’ rovesciata poiché gas e metano inquinano come prima e sono invece gli Euro 6 ad avere abbassato le proprie emissioni al loro livello, come molti tecnici da tempo espongono senza la ventura di essere ascoltati (la Regione Lombardia, per non andare tanto lontano, continua a spingere gli operatori professionali verso l’uso dei bus a metano, nonostante le obiettive difficoltà di contorno tecnico-logistico), ma il risultato finale non cambia.

Inoltre ora ci si è convinti, correttamente peraltro, che le polveri sottili non sono solo causate dagli scappamenti, ma anche da usura di freni e gomme e quindi una parte della responsabilità è evidentemente a carico di tutti i veicoli, anche dei tanto decantati mezzi elettrici, oltre a tutto più pesanti a causa delle batterie (senza voler considerare il problema dell’inquinamento causato dalla produzione dell’energia elettrica solo perché si sviluppa altrove, ma il problema ambientale comunque rimane e senza voler allargare il discorso ad altre modalità di combustione, come la legna, che cooperano attivamente al raggiungimento delle criticità).

Di tal che l’obiettivo della pubblica amministrazione sembra spostarsi dalla preoccupazione di contenimento del c. d. smog alla limitazione del traffico in sé: per usare i termini provincialmente di moda: dall’ecopass alla congestion charge.

Per una città senza dislivelli come Milano, e con un clima mediamente passabile anche d’inverno, un principio di risposta, sebbene non alla portata di tutti, è già nei fatti da parte di quei cittadini (oramai anche uomini, mentre precedentemente erano solo donne) che sempre più scelgono il pedale nonostante la disorganizzazione viabile e gli elevati rischi del suo utilizzo (compresi i furti regolari delle biciclette a fronte dei quali la pubblica sicurezza, in caso di denuncia, consiglia il malcapitato di andare ai mercati ove è più probabile ritrovare il mezzo sottratto).

Lo sviluppo della bicicletta avrebbe peraltro necessità di essere orientata e sostenuta anche da strutture pubbliche adeguate, soprattutto in termini di sicurezza viabilistica (che non significa solo costose corsie fisicamente protette) e di possibilità di posteggio, ma ha l’handicap significativo di non portare i soldi dei ticket nelle casse comunali e nemmeno i ricchi introiti delle contravvenzioni stradali.

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