APOCRIFA: Mens sana

Premessa duplice: chi non ha diretto accesso ai fatti non può che basarsi su quanto messo (a lui e agli altri come lui) a disposizione dai media e questi non sembrano avere in simpatia il neo presidente americano tanto da procuragli, come sembra, irrefrenabili sensazioni vittimistiche indotte dal ritenersi, egli, il politico peggio trattato da parte dell’informazione.

Al netto di questa tara, probabilmente alimentata anche dal fatto che non gliene fanno scappare una, esercizio peraltro facilitato dal soggetto e comunque insito nel sistema democratico, quello che rimane è comunque sufficiente a ispirare pensieri molesti e poco tranquillizzanti.

Che non siano sufficienti, per governare in modo accettabile, vantare un brillante curriculum di imprenditore e godere di un elevato reddito è abbastanza verosimile, anche per diretta esperienza di non lontane nostre vicende, e credere che ogni e qualsivoglia organizzazione pubblica, politica o sociale, funzioni solo se ad immagine e somiglianza dell’azienda padronale dove uno, the boss, sta al comando perché solo in questo modo si ottengono efficienza ed efficacia (vale a dire corretta allocazione delle risorse e risultati concreti) non è una brillante scoperta strategica sibbene una devianza (politicamente parlando una forma di dittatura travestita) che -giusta il movimento del pendolo- si colloca all’estremo opposto di un’altra devianza costituita dal fallimento della pubblica organizzazione per interessi particolari, consociativismo e ignavia.

Lo scenario sul quale si deve muovere la politica, sia interna sia esterna, non è mai semplice né unilateralmente semplificabile a piacimento, ma variamente vincolata da numerose connessioni più o meno obbligatorie ove il non tenere conto della realtà (che è ben diverso ovviamente dal non agire accettando passivamente lo status quo) non è segno di decisionismo più o meno illuminato (come e da chi non è mai noto), ma di irresponsabilità e ignoranza così come mandare un cinghiale a passeggio in una cristalleria non appare scelta giudiziosa.

La società statunitense ha di certo i suoi pregi e i suoi difetti, fra i quali il politicamente corretto e l’ipocrisia soffuse ovunque (diceva cinicamente anni or sono un grande dirigente industriale italiano per molto tempo operativo ad alto livello negli USA che nella foto ufficiale del board di ogni azienda che si rispetti c’erano sempre in bella vista almeno una donna, un nero e qualcuno in carrozzella…), e verosimilmente, come in ogni cosa, necessità di apporto di aria nuova: possibilmente aprendo finestre ingrippate senza demolire le pareti.

È facile, sfortunatamente per i sudditi pro tempore, che colui al quale è dato il potere (di solito ritiene di esserselo preso da solo) si senta investito di un’alta e irripetibile missione politico-sociale e di rottamare tutto quanto non funziona bene (e ce ne è ovunque, beninteso) così legando indissolubilmente il proprio nome alla storia del suo Paese, fra i grandi, ma mentre rottamare è relativamente agevole (vedi gli sfasciacarrozze), costruire o ri-costruire e per di più innovando è più difficile: ci vuole, sia detto senza offesa, quasi uno statista, vale a dire qualcuno che oltre a qualche forma di presa utilitaristica certo, ma anche ideale sui propri simili abbia cultura, non solo politica, idee adeguate e capacità operative in proporzione (anche nella scelta dei collaboratori che non è l’ultimo degli aspetti).

Ritenersi l’unico con la testa sulle spalle e sparare a vista su chi non la pensa allo stesso modo è caratteristica dei dittatori, verso i quali (tra l’altro) queste figure sembra abbiano una certa propensione e dimestichezza indipendentemente dalle risposte che ricevono, come anche l’accaparrata licenza di poter dire e sostenere cose approssimative o non vere non è segno di buona salute.

Scorrere, ad esempio, un website come PolitiFact (Fact checking US politics) e leggere lo scorecard relativo al neo presidente conduce a un deprimente 68% di mostly false, false e Pants on Fire (cioè bugie tali che non le salta un cavallo, pari al 16%). Si farebbe già fatica ad immaginare di dover avere a che fare, se non per penitenza, con un interlocutore consimile anche nella comune vita privata.

È evidente che la sindrome dei Pants on Fire non alligna solo a casa di qualcuno laddove altri agiscono come figli della luce, e le condizioni in cui è ridotta la convivenza (si fa per dire) nel mondo è lì a dimostrarlo tristemente: l’osservazione o l’avvertimento con effetti pratici che però, almeno in un ambiente democratico, si può (si dovrebbe) trarre è forse che votare facendosi ammaliare dai proclami e chiudendo gli occhi davanti alle bugie o per dispetto o per antipatia degli avversari ha dei rischi di cui si deve tenere conto prima: una volta che la caramella temerariamente scelta arriva davvero la si ciuccia poi per tutto il tempo previsto dalla legge.
E si tengono comunque i cocci.

E questo, allo stato, vale anzitutto per noi che qualche estroso soggetto (roboanti proclami molti, come realizzarli niente, referenze ancora meno) lo abbiamo anche, unitamente ad altri figuri dai costumi politici più simili a quelli degli struzzi.

 

LMPD

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