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APOCRIFA: Torri (di Babele)

Laddove in informatica il termine default indica una scelta operativa adottata dal sistema, in economia la medesima parola è di moda per ammorbidire sotto una veste vagamente specialistica quella che volgarmente si intende come incapacità patrimoniale di un debitore di soddisfare le proprie obbligazioni.

L’azienda dei trasporti di Roma Capitale -considerata da taluno sull’orlo del default-presenta, allo stato, un debito di circa 1,4 miliardi e ha recentemente presentato al tribunale la richiesta (ammessa) di concordato preventivo. Ora con l’assistenza di tre commissari nominati dal giudice dovrà presentare un piano industriale che sarà poi oggetto di valutazione da parte dei numerosi creditori.

I sindacati hanno prontamente contestato la scelta indicendo uno sciopero di ben 24 ore -ridotto a 4 per pronta opera del prefetto- e il Comune, da parte sua, ha per bocca del sindaco salutato la decisione del giudice come l’incipit della rinascita di Atac. Oltre che una vittoria dei cittadini, una strada per mantenere Atac saldamente in mano pubblica tutelando i lavoratori.

Sperando comunque e necessariamente in bene (viste le ingenti risorse pubbliche dei cittadini -e non solo capitolini- dissipate irresponsabilmente in questi anni sotto i più svariati colori delle succedutesi amministrazioni locali) viene da suggerire qualche marginale osservazione di merito.

A parte la legittimità di avere diverse opinioni e la libertà di esprimerle, che non si discute, e ricordando en passant che i Radicali hanno appena promosso e portato a termine un referendum (sì, sappiamo cosa vale da noi il referendum) per chiedere (finalmente) l’adozione della pubblica gara (che non significa regalare l’azienda al solito approfittatore -che pure è presente a sua volta in natura- ma cercare di cambiare un po’ l’aria della gestione), è attendibile opinare che la vittoria dei cittadini ci sarà di certo, ma quando essi potranno usufruire di un servizio di trasporto urbano mediamente comparabile con quello di altre città (rimanendo in Italia, si capisce);

che mantenere l’azienda massacrata dalla inefficienza e incapacità della mano pubblica consociativa nella medesima mano pubblica è una prospettiva forse utile da approfondire un po’ meglio prima di spenderla come vessillo strategico;

che così facendo si tutelino i lavoratori è, a parte l’evidente tentativo di captatio benevolentiae di solito poco utile in quanto destinato ad arenarsi alla prima azione vera contro un vero assenteista, anche un assunto al medesimo tempo ardito da sostenere e irriguardoso nei confronti degli altri numerosi lavoratori che ugualmente operano in diverse organizzazioni imprenditoriali le quali costano un po’ meno alla collettività, erogano l’atteso servizio e (ancora) non risultano nemmeno essere stati individuati dai giudici come parti lese ai sensi dell’art. 603 bis del codice penale (sfruttamento del lavoro o ‘caporalato’).

Ci sono, peraltro, altre situazioni curiose in giro per questo strano Paese dove la parola in libertà è sovente considerata più dei fatti.

A Genova, ove la locale azienda di trasporto pubblico naviga e non da oggi in acque agitate, il centrodestra ha deliberato fra gli applausi dei lavoratori di Amt presenti in aula l’indirizzo verso l’affidamento diretto (c. d. in house) e se proprio non si troveranno le risorse necessarie (a motivo delle condizioni dell’azienda) e si dovrà per forza ricorrere alla gara si farà -da parte del Comune- il possibile perché Amt vinca la gara. Qualcuno degli entusiasti presenti, non smentendo l’abituale prudenza ligure, pare comunque abbia rivolto al sindaco l’esortazione madre di tutte le battaglie “Adesso però trova i soldi!”

Mentre la gara ad evidenza pubblica è stata ‘inventata’ da parte del legislatore, sia comunitario sia nazionale, proprio per liberare e fare emergere possibilità concrete di individuazione di soggetti operatori capaci e responsabili in grado di realizzare, con il confronto reciproco, il miglior equilibrio possibile fra l’allocazione di risorse pubbliche (cioè di coloro che versano tasse) e servizio concreto di trasporto ai cittadini.

Che poi l’operatore capace e responsabile possa essere sia privato sia pubblico, quindi senza condizionamenti ideologici preconcetti, è positivamente dimostrato, per esempio, dal caso di ATB, la azienda pubblica di Bergamo la quale -firmataria di un contratto di servizio regolarmente acquisito all’esito di una gara pubblica vinta- non solo non sperpera, ma riesce anche a fare utili in un settore molto difficile (e per questo trova perfino chi la critica) o di STPS, la pubblica di Sondrio, che è del pari titolare di un contratto di servizio acquisito come sopra detto e che vanta una gestione in grado di dare punti a tanti operatori privati.

Prova provata, se mai ce ne fosse bisogno, che il contrasto non è (di per sé) fra pubblico o privato a livello ideologico, ma fra capacità, onestà, competenza e assenza di consociativismo e fra incapacità, disonestà, incompetenza e consociativismo.

Se poi le condizioni negative tendono ad allignare più nel pubblico che nel privato, questo non è dovuto né alle gare né alle opinioni politiche dei singoli, ma alla scelta dei responsabili e al consociativismo il quale, sotto bandiere di ogni colore, porta a pretermettere l’interesse pubblico reale preferendo (nei fatti concludenti e a parole sostenendo il contrario) quelli rispettivamente propri.

LMPD

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