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APOCRIFA: Il (grande) calcio

Premetto che pur apprezzando lo sport, sia praticato sia guardato, non sono tifoso di niente o di nessuno anche forse considerando eccessivo -in accordo con l’accezione clinica del termine- adottare o essere preda di violenti accessi febbrili a causa di un fenomeno sociale come quello sportivo che per lo più dissimula interessi e poteri che con lo sport nulla hanno a che vedere.

Convengo peraltro che sia, questa, una visione superata e non più in linea con i tempi attuali.

A maggior ragione per il calcio sebbene sia noto a chiunque che se la scienza calcistica e l’impegno di tifo di buona parte dei concittadini fossero dagli stessi trasfusi e praticati pari pari anche nel lavoro, nell’amministrazione e nella politica porterebbero (o avrebbero già portato) l’Italia ad essere fra i primi, se non il primo, sebbene piccolo, Paesi del mondo.

Onde non entro nel merito, per dichiarata incompetenza, delle vicende calcistiche che hanno recentemente scosso il Paese, comprese le connesse intricate varianti politiche, e nemmeno, ma per ribrezzo e senso di denegata giustizia (ognuno è libero di pensare secondo la propria coscienza), delle ripetute e vergognose e inaccettabili (per un Paese civile) porcherie addebitabili al così detto tifo violento, razzista etc.

Tutte attività e manifestazioni che con lo sport o il gioco del calcio nulla hanno in comune salvo ovviamente un utilizzo deviato delle parole: i Romani (quelli di una volta) erano più saggi e realistici mettendo a disposizione della gente, per ingraziarsela, i giochi del circo.

E infatti passata la tempesta, si fa per dire, tutto ritorna sempre come prima fino alla prossima volta.

Ma desidero, a modo mio, portare un omaggio a coloro che tifosi sono in buona fede e che hanno tutto il diritto di esserlo avendo scelto questa disciplina la quale, se giocata bene, può essere molto spettacolare e coinvolgente.
E sono alcuni ricordi indietro nel tempo.

Ero un ragazzino e a S. Siro, quello precedente allo stadio attuale, mi portava allora qualche volta mio padre, tifoso dell’Inter, che preferiva prendere posto sulle gradinate basse dietro alla porta: si sentiva anche quello che si dicevano i calciatori.

Un attaccante dell’Inter era Lorenzi, chiamato ‘Veleno’, veloce e abile nel dribbling come nella parlata toscana, il quale soleva giocare il secondo tempo invariabilmente con la maglia (io mi ricordo la n. 11) fuori dai pantaloncini (allora non usavano ancora tatuaggi, cerchietti per i capelli, teste crestate etc): quando partiva in quarta con la palla gli spettatori si alzavano in piedi per l’entusiasmo.

Una domenica avvenne che a seguito di una bella azione giunsero davanti alla porta avversaria Lorenzi, libero all’ala con la palla, e al centro Vonlanthen, che gli spettatori milanesizzavano in el Volànten: allocchito il portiere, era già goal, ma Veleno invece di tirare in porta passò inaspettatamente la palla allo svizzero che aveva due difensori addosso e questi calciò al vento. Mio padre, cui il gioco di Lorenzi piaceva molto, ma non altrettanto le ripicche interne alla squadra, portò le mani alla bocca e nel generale mugolio di delusione gridò forte: “Lorenzi, carogna!”. Lui sentì, si volse e con l’aria più innocente allargò le braccia significando che il pistola (alias bischero) era stato el Volànten e non lui e così si prese la sua (giusta) dose di buu, buu. Dopodiché andò in rete e la pace fu fatta.

Un’altra volta la nazionale del Brasile giocò un’amichevole con l’Inter: applausi -e non fischi- anche per i campioni d’oltremare fra i quali primeggiava il grande Pelé.
Il quale ad un certo punto, solo davanti alla porta di Ghezzi, si esibì in uno svarione da leggenda che fece arrivare la palla a noi sulle gradinate invece che in rete.
Uno dei difensori giunti trafelati (e in ritardo) gridò al portiere: “L’è andà ben, Giorgio” e gli spettatori intorno scandirono in coro: “Pelé, va’ a pelà i patatt”.
Nessuno lo insolentì dandogli del negro o simile sebbene allora, in tempi prae politicamente corretto, a Milano si usasse ancora normalmente il termine originale (in dialetto: négher).

Ne è passata di acqua sotto i ponti.

LMPD

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