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APPROFONDIMENTO: Fine-Vita

Francesco papa ha indirizzato un messaggio a mons. Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e per esso a tutti i partecipanti al Meeting della World Medical Association che si è tenuto sul ‘Fine-Vita’ il 16-17 novembre scorso in Vaticano.
Considerato che sulla stampa del giorno dopo tutti, o quasi, sottolineavano come il pontefice avesse dato ragione alle proprie (contrastanti) tesi in argomento è probabilmente più efficace leggere il testo originale anziché le molteplici sue mediazioni ermeneutiche.

E ci si trova di fronte a uno scritto non solo avente radici dottrinali, peraltro non invasive, ma soprattutto buon senso che già dalla forma (Al Venerato Fratello…) fa registrare un certo superamento degli spagnolismi curiali precedentemente in auge (fanno dare ai credenti un semplice Tu all’Altissimo, ma fra di loro si indirizzano e si apostrofano in barocco).

Anche se, contrariamente ad altre opinioni, non fornisce una o la soluzione, che non c’è, ma considerazioni utili per cercare, caso per caso, una scelta accettabile sotto il profilo morale per un problema che è sovente più grande dell’uomo stesso al quale si propone.

Il problema origina dall’evoluzione della medicina apportatrice di nuove conoscenze e strumentazioni sempre più in grado di migliorare la salute e prolungare la vita: questo è anche empiricamente sotto agli occhi di tutti: un tempo era più difficile di ora conoscere i propri nonni, specialmente maschi, e i centenari si trovavano -in particolare- là dove l’anagrafe non esisteva proprio.
Il rovescio della medaglia è costituito dal fatto che un intervento sul corpo umano può essere efficace tecnicamente (in termini di sanare insufficienze o sostituirle), ma non anche, al contempo, utile per la salute dell’essere cui quel corpo appartiene: intesa questa salute, evidentemente, come la situazione psico-fisica globale di un determinato individuo (il bene integrale della persona): di quell’essere specifico, si capisce, e non di una sua proiezione virtuale o statistica.

Quindi il problema, e la ricerca della soluzione, si spostano necessariamente verso un crinale sempre più scivoloso poiché caratterizzati, pur nel quadro di un principio certo (rifiuto della morte procurata), da soggettività quantomeno plurime (il malato, i medici, gli altri soggetti coinvolti: l’aberrazione è costituita dal ricorso al solito giudice).

I fattori da considerare non ubbidiscono, quindi, a una regola generale (che è invece, in sostanza, la soluzione per lo più vagheggiata a livello ideologico da qualunque parte si affronti il tema), ma al discernimento necessario a distinguere -sulla base in ogni caso del limite responsabilmente accettato che la vita è mortale- fra intervento medico clinicamente appropriato (in quanto diretto a conseguire un risultato accettabile in rapporto alle condizioni del paziente e delle sue forze fisiche e morali) e accanimento terapeutico (in quanto risultato bensì valido meccanicamente, ma non rispettoso della dignità e del valore in sé della persona).

Risposta certo moralmente fondata e di buon senso che traccia i confini di uno spazio entro il quale, caso per caso, combinare i diversi e molteplici fattori della possibile e doverosa scelta.

Confini che contemplando in primis la soggettività dell’ammalato e la sua dimensione personale anche verso lo spazio della (sua) morte implica di ri-portarlo dalla condizione (troppo sovente) di oggetto, non per nulla di paziente, alla condizione di (primo) soggetto in tutto il complesso processo di cura e di accompagnamento non solo verso la sperata sempre guarigione, ma anche -nel caso- verso la fine.
Ad iniziare dalla necessità morale ancor prima che civica di poter disporre del testamento biologico.

(a cura della Redazione)

(Il lettore che lo desideri trova il documento papale cliccando al seguente link)

 

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