APOCRIFA: Continuità

Nel consueto costume di usare le parole in modo confuso, se non a caso, il governo bicefalo del cambiamento – che quanto a discontinuità è avaro assai, se non nella approssimazione, ma certo è ben tradizionale nell’occupare i posti a tavola e a tavolino – non chiarisce la prospettiva dello scenario di ordine economico, neanche a breve termine, che ha in mente o nelle varie menti.

Ciascuna delle due teste, che non sempre appaiono coordinate neanche con se stesse, si esprime, per esempio sulle grandi opere, in modo indipendente non solo dai processi produttivi in corso (i contratti, gli obiettivi, gli impegni, le eventuali penali etc sono infatti considerati al pari della famosa variabile indipendente dei bei tempi andati, della quale qualcuno, forse per non avere mai gestito il problema e per non conoscerlo, giunge a vagheggiare il ritorno), ma anche da una piattaforma minima condivisa di buongoverno.

Ritorno dello Stato in veste di operatore economico principale, dopo i perspicui risultati che ha prodotto nel corso dei troppi anni e, in particolare, nel Mezzogiorno di cui da decenni si auspica (sempre a parole, per carità) il nascimento e a parte le indecorose quantità di denaro pubblico gettate al vento e andate a massimo beneficio di numerosi destinatari comunque non mai corrispondenti a coloro ai quali sarebbero state utili, valico del Brennero che interessa una delle due teste, valico del Piemonte che non interessa l’altra, anzi, il terzo che può ben aspettare, tanto si tratta solo, fra le varie cose, del porto di Genova che è notoriamente già ben collegato con l’Europa del Nord a scapito del porto di Rotterdam costretto da anni, per conseguenza, a vivacchiare come può.

Inoltre, c’è da riscoprire tutta un’innovativa metodologia strategica, discontinua o meno lo diranno i posteri, che a fronte, da un lato, di opere caratterizzate da realizzazione per definizione pluriennale (e se si considerano i tempi minimi di progetto e di consenso sul progetto quasi geologica) e, dall’altro, da esecutivi molto meno longevi, al fine di sincronizzare opportunamente le due differenti misure temporali in nome dell’efficienza (spese) ed efficacia (opere) pubbliche cosa fa?

Blocca, ripensa, ri-fa gli indispensabili studi istruttori, corregge, annulla etc non riconoscendo all’evidenza alcun valore a quanto operato dal precedente governo.
Che è, a pensarci, una ben curiosa et originale interpretazione della democrazia vista come un susseguirsi di monadi ognuna indipendente dall’altra e responsabilmente ignara dell’operato altrui.

Tanto i soldi sono sempre degli altri, di quelli che lavorano e, bene o male, producono per tutti a cominciare da coloro che si fanno mantenere.

In un Paese privo di risorse naturali la produzione della ricchezza pubblica, che non è una parolaccia, passa attraverso la rete iper-connessa dei soggetti capaci di realizzarla e attraverso la necessaria cooperazione dell’ente pubblico la cui funzione principale non è fare l’imprenditore o distribuire sussidi (se non in contingenze eccezionali), ma consentire (con adeguate azioni e omissioni) a chi lo sa fare ed è in grado (le imprese) di crescere e operare sempre meglio: quindi di pagare le tasse che vanno a formare, fra l’altro, una parte considerevole della ricchezza del Paese.

Il pubblico sia allora il regolatore attento, impegnato ed equo e sia il primo, con il suo comportamento e le sue scelte, a ri-dare valore ai concetti di sobrietà, parsimonia, semplicità e moderazione che non sono concetti da discutere se in contrasto o meno con il PIL, se continui o discontinui, se nuovi o vecchi, ma soltanto indispensabili perché la ricchezza venga non solo progressivamente prodotta a beneficio di tutti, ma anche che serva qui e ora e, in particolare, poi a raddrizzare pian piano la zattera: ricerca, istruzione, infrastrutture, difesa del suolo, manutenzioni necessarie etc. etc. etc.

Se i soldi da spendere non ci sono mai perché la cassa vera rimane vuota e aumenta solo il debito, con i conti che non tornano e con la rattoppata coperta tirata nelle varie direzioni della rosa dei venti, è inutile inventarsi nemici esterni (dei quali per la verità ce ne è sempre qualcuno, sia all’interno sia all’esterno, e non solo da noi, ma per ogni Paese) abbaiando dietro ai quali si cerca di far dimenticare la propria incapacità e si rimediano le solite figure.

Ma chi se ne importa delle figure e della faccia: tanto fra un po’ ci sarà ben qualcun altro.

LMPD

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