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APOCRIFA – Chiare, fresche e dolci acque etc

Secondo una ricerca pubblicata su EnviromentalScience & Technology – ogni anno l’essere umano ingerisce mediamente circa 32.000 microplastiche, minuscoli pezzetti dei rifiuti presenti nel mare o nell’aria che si finisce per bere, mangiare o anche solo respirare.
E secondo un articolo di Quartz, circa 2000 microplastiche all’anno entrano nell’organismo tramite l’umile e anonimo sale da cucina.

Da una ricerca condotta su numerose marche di sale provenienti da oltre 20 paesi diversi del mondo è emerso che solo tre di esse risultavano prive di microplastiche: i sali per uso alimentare dunque contengono plastica.
Il sale rimanendo dall’evaporazione dell’acqua altro non fa che mantenere i residui della plastica sparsa quotidianamente nei mari, fiumi e laghi del nostro pianeta.
Oltre alla plastica nel sale, che costituisce circa il 6% della plastica ingerita ogni anno, l’80% proviene dall’aria e la si respira tutti i giorni.
Ed è altresì assunta, essa, per il tramite del pesce.

È indifferente o inutile, per la logica di questo articolo, addentrarsi ora nei dettagli della ricerca scientifica o spulciare con la necessaria acribia i riferimenti bibliografici, ma è bene ricordare qualche considerazione stando al di fuori, se ancora possibile, della tenzone ideologica la quale, in prospettiva politica, esige sempre la proclamazione di chi ha vinto o l’indicazione di chi ha perso.
In materia di ambiente, infatti, e delle necessariamente connesse condizioni che influiscono sulla salute, privata e pubblica, si perde tutti in ogni caso e sempre.

Ora uno dei due capi si dichiara fieramente a favore dei termovalorizzatori (sono gli inceneritori che bruciando producono energia), anzi ne auspica di più, e l’altro, come è consuetudine di governo, raccogliendo non meno fieramente la sfida (continua) invoca il contratto che porta l’obiettivo ‘zero rifiuti’ da realizzare per il tramite di recupero e riciclo senza ovviamente precisare quanto tempo ci si impieghi.
Nel dialogo fa capolino l’immancabile riferimento alla malavita organizzata che lucra (non da oggi) sia sui rifiuti (e magari si limitasse a questi) sia sulla loro perenne emergenza (dato che di norma -e non solo da parte di questo governo né in tema di rifiuti- i problemi sono presi dalla coda e non dalla testa).

Per nostra sfortuna lo Stato non solo non è mai riuscito a sradicare la malavita organizzata ove essa era (e rimane) endemica, ma anche spedendo altrove, rispetto ai luoghi d’origine, soggetti pericolosi ha contribuito a seminare ovunque la zizzania.

Ora sembra evidente che mentre le discussioni possono continuare o essere sospese in attesa di eventi, i rifiuti sono invece regolarmente prodotti ogni giorno senza ritardo alcuno e con cronometrica puntualità e che da quando la Cina ha chiuso i porti al ricevimento della plastica lo scenario sia sensibilmente peggiorato.

Recupero e riciclo sono, nel Paese, funzionanti bene, così così, male o inesistenti a macchia di leopardo, ma, indipendentemente dall’ampliamento e miglioramento di questi processi sicuramente necessari, un aspetto fondamentale della criticità del sistema è la enorme quantità di rifiuto plastico prodotto quotidianamente dalla odierna civilizzazione.
Per convincersene, anche in modo approssimativo, basta osservare -ove funziona la raccolta differenziata- il volume dei sacchi contenente plastica rispetto ad altri materiali.

Una modifica progressiva delle abitudini produttive e distributive, in argomento, porterebbe verosimilmente, con la diminuzione degli scarti, a una minore e decrescente tensione su tutta la filiera.
E anche a livello culturale da parte dei consumatori un recupero di altre forse non del tutto obliate abitudini circa l’uso di recipienti e contenitori non sempre e comunque a perdere introdurrebbe una cooperazione consapevole e civica verso il miglioramento comune per un tramite finalmente diverso dai TAR e dalla ideologica opposizione alla discarica o al termovalorizzatore o a qualsivoglia altro (salvo che non siano da posizionare altrove, a casa altrui, si capisce).

Ovviamente approvvigionarsi costerebbe di più, ma andrebbero fatti, e fatti conoscere a tutti, conti attendibili circa le diverse soluzioni possibili (compresi i costi di trasporto e di deposito dei rifiuti verso chi, all’estero e a caro prezzo, ancora li riceve): la gestione dei rifiuti non è solo un problema politico o industriale, ma anche sociale e i cittadini andrebbero coinvolti non come spettatori di risse, ma come attori (comunque a loro volta paganti, direttamente o indirettamente e consapevoli o meno) di un sistema adottato in quanto scelto -a seguito di una valutazione di costi e benefici- rispetto ad altri.

In attesa, quindi, che qualche futuro Nobel inventi la plastica alimentare onde, al termine della cena, consumare direttamente sul posto anche vasetti, vassoi e contenitori vari oltre, se del caso, a piatti e bicchieri (gli antichi Greci non si mangiavano forse le mense?), cominciamo a imparare a utilizzarne il meno possibile.

LMPD

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