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EDITORIALE – Fra i pensatori e i navigatori

Fra i pensatori e i navigatori (quasi sempre a vista, che è meno impegnativo) scolpiti nella pietra del Palazzo dell’EUR è silenziosamente emersa una nuova specie del genus italico che, giunta alla ribalta sulla cresta delle ultime elezioni, ha finalmente realizzato quel cambiamento invano promesso dai governi e dalle coalizioni che si erano precedentemente succedute, con i magri risultati che ben conosciamo, sugli scranni del potere: quella degli inventori di un governo che esprime direttamente maggioranza e opposizione e viceversa: tutto nell’ambito della medesima compagine.

Si consegue in tale modo un evidente risparmio di tempo e di denaro (dei cittadini) oltre alla massima efficacia possibile nell’azione invero complessa del governare sebbene non sempre né il risparmio né l’efficacia in parola siano individuabili come tali, ma sicuramente da qualche parte ci saranno.
La Civiltà italiana è così ancora in grado, come sembra, di dare adeguate lezioni agli stranieri, in particolare europei, i quali, un po’ per pigrizia intellettuale e un po’ per preconcetta e ancestrale iattanza verso queste fertili regioni che un tempo furono loro colonie, non sembrano sempre in grado di comprendere i processi del nuovo che avanza.

Ora, va da sé che lo scenario tenda fatalmente ad assomigliare un po’ a una continua tenzone e che il Paese si trovi trasformato tutto quanto in una grande Barletta (non per nulla i termini fra i più ricorrenti nei titoli delle prime pagine sono sfida e duello) ove se un colore dice l’altro debba subito rispondere no e viceversa, onde non lasciare all’opposizione (pardon, all’alleato) vantaggio veruno, neanche apparente: già un leader britannico dello scorso millennio ebbe l’improntitudine di osservare (peraltro non richiesto da alcuno) che gli Italiani sembrano andare alla guerra come a una partita di foot-ball e alla partita di foot-ball come alla guerra.

Un problema potrebbe, se mai, far capolino dal fatto che dovendo i responsabili assolvere l’arduo compito di parlare senza sosta e di rimbeccarsi di continuo (alzando inoltre regolarmente i toni poiché, in difetto, nel generale marasma indotto dalla globalizzazione essi non apparirebbero neanche più e questo, Dio non voglia, corrisponderebbe a una sorte personale politicamente scorretta oltre che nociva alle campagne elettorali) si corre il rischio di non trovare più il tempo per fare, anche, qualcosa.

Ma qualche ritardo è pur sempre accettabile specialmente quando si aprono nuove strade come, non per nulla e solo per un esempio, l’altalena sulle opere pubbliche (a proposito delle quali si è scoperto l’innovativo criterio dell’indagine costi-benefici non prima di intraprendere contratti e attività, ma a posteriori) o sulle chiusure dei porti a qualche nave sballottata con i suoi disgraziati passeggeri. Come se i flussi migratori indotti da guerre e carestie dipendessero (solo) dai porti di destinazione.

Ma non preoccupiamoci più di tanto.
Già Omero aveva saggiamente osservato e (per fortuna) scritto nel VI libro dell’Iliade:

Tidide magnanimo, perché domandi la stirpe?
Come infatti le stirpi delle foglie, così quelle degli uomini:
esse infatti alcune il vento abbatte verso il nero suolo, altre nutre la selva in fiore nel tempo di primavera;
così le stirpi degli uomini: una nasce, l’altra scompare.

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