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APOCRIFA: Clima e inquinamento

Una delle (tante) difficoltà che la scienza incontra nell’analisi della situazione climatica del pianeta, finalizzata a individuare comportamenti atti a correggere pericolose interferenze antropiche con il sistema climatico, è la prospettiva temporale molto lunga nell’ambito della quale i fenomeni da osservare si svolgono.

Da un lato, quindi, osservazioni ed accertamenti che inducono a stime o previsioni di un certo tipo e, dall’altro, incertezze e interrogativi che riducono, quantomeno, la coesione e la determinazione strategica necessarie per mettere in cantiere programmi i quali, per avere ragionevole aspettativa di successo, sono condizionati a profondi mutamenti di scenari con tanto di conseguenze d’ordine economico, di investimenti e di vita che sono numerose e significative.

Dal 1992 (Rio de Janeiro) a ieri (Parigi) i livelli delle emissioni non sono (ancora) cambiati ed il decennio passato è risultato il più caldo da quando si sono iniziate a registrare le temperature, mentre in quindici anni sembra che le attività umane abbiano rilasciato in atmosfera una quantità di anidride carbonica quasi pari a tutta quella del secolo scorso.

Dalla fine dell’Ottocento la Terra si è riscaldata, mediamente, di quasi un grado, in gran parte a decorrere dagli anni sessanta, ma questo nella media: in realtà il processo non è uniforme e se talune (poche) zone dell’Antartide sono comunque più fredde, altre e più numerose parti dell’Artide si sono riscaldate di quasi nove gradi. Un eventuale collasso, parziale, della calotta glaciale dell’Artico occidentale comporta una risalita di oltre un metro del livello delle acque¹: solo pensando all’Italia si ha un’idea delle conseguenze più immediate. Ed il fatto che questo possa capitare non nel prossimo futuro, ma (molto) più in là, non legittima la disattenzione o il disimpegno nel presente.

Anche perché questo evidente disallineamento fra lo scenario odierno, le registrazioni documentali disponibili intorno al (recente) passato e le decisioni strategiche, cioè non casuali né contingenti, da intraprendere oggi per un futuro che certamente non saremo noi ad osservare, né a conviverci, rende ogni scelta ancor più complessa, a motivo del numero delle variabili connesse, e pertanto anche politicamente difficile da assumere. Tenendo presente che trattandosi di un fenomeno evidentemente globale ogni decisione invero di ordine o rilevanza ambientale comporta di necessità un previo concerto di proporzioni globali (i due paesi che rilasciano più carbonio sono Cina e Stati Uniti).

E’ vero che la storia del nostro pianeta è passata attraverso trasformazioni epocali che hanno cambiato il corso della sua evoluzione, ma questa volta, a motivo della crescita della popolazione e della rivoluzione tecnologica e del progresso economico energivoro il processo è diverso, evidentemente, dalla scomparsa dei dinosauri dato che coinvolge direttamente l’uomo, nella sua duplice veste di soggetto passivo e, riuscendoci, anche di soggetto attivo, capace (forse) di governare almeno in parte le condizioni necessarie (oggi) per la vita (futura) di chi ci sarà.

In questo scenario globale l’Italia, nel suo piccolo, ha fatto recentemente esperienza di un’ennesima crisi da inquinamento causata dal permanere di condizioni ambientali sfavorevoli al ricambio dell’aria su molte zone del Paese, con conseguente sforamento prolungato dei livelli massimi (teoricamente consentiti) concernenti le varie sostanze dannose, fra le quali le famigerate polveri sottili che le persone, non potendo adottare le branchie ed immergersi alla ricerca di qualcosa di meglio, sono costrette a respirare specialmente nelle zone urbane o comunque a più elevata antropizzazione.

In particolare la valle del Po è una delle più critiche poiché la frequente stabilità atmosferica e la tendenziale debolezza dei venti, oltra alla densità produttiva (in ogni senso), favoriscono l’accumulo degli inquinanti. A proposito dei quali la OMS, trattando di PM10 e di PM2.5, ha precisato non solo esserne accertati gli effetti negativi sulla salute, ma anche l’assenza di prove circa eventuali livelli di soglia al di sotto dei quali non si verificano effetti.

Quest’anno, oltre alla valle del Po, sono state interessate anche altre località nel centro-sud fra cui Roma e Napoli.

Le reazioni delle amministrazioni sono state tipiche: considerato, tra l’altro, che numerosi sindaci sembra si siano accorti del problema dopo lo sforamento di circa il triplo delle giornate fuori legge, diciamo così, le varie riunioni (affannosamente) realizzate hanno prodotto indicazioni sostanzialmente di maniera, già viste o sentite, e verosimilmente di debole costituzione.

A Milano, per esempio, il blocco totale del traffico privato per tre giorni non ha avuto effetto a riprova che intervenire su una delle tessere (sempre la stessa) del mosaico non è risolutivo del problema. La previsione di abbassare il riscaldamento rimane una grida se non ci si accerta e non si fa in modo che gli impianti tecnici siano realmente in grado di essere regolati (- due gradi!), a cominciare da quelli pubblici, così come l’abbassamento della velocità di crociera (in numerose zone urbanizzate già un traffico che scorra a 30 km/ora è utopico).

Senza contare che il trasporto pubblico su gomma, sul quale si conduce (a parole) una pubblica promozione come possibile mezzo per aiutare l’ambiente, in quanto potenzialmente in grado di assorbire una parte almeno del traffico privato (in realtà nei comuni capoluogo gli ultimi cinque anni hanno registrato un calo medio di utenza di quasi il 12%), presenta di norma mezzi rotabili con un’anzianità media critica (nell’urbano: tredici anni contro una media europea di sette), e quindi inquinanti. Inoltre ci sono i veicoli commerciali che, oltre alla loro funzione specifica che dovrebbe essere distributiva, sostituiscono quasi ovunque la debole modalità ferroviaria di trasporto delle merci.

La promozione del trasporto pubblico è solo a parole, nonostante la foga comunicativa di politici e pubblici amministratori, perché da anni a questa parte proprio il trasporto di persone su gomma è oggetto di ripetute riduzioni di risorse pubbliche a motivo delle (scandalose) situazioni di bilancio fallimentare di non poche importanti aziende pubbliche, causate da mala gestione di matrice politica e consociativa che non si ha condizioni/coraggio o la possibilità di affrontare alla radice: così, invece di intervenire là dove ci sono le voragini, si interviene con logica lineare togliendo risorse anche alle situazioni che funzionano correttamente. Intanto quelle dissestate continuano a bruciare risorse preziose.

In realtà ci sono problemi, come quello dell’inquinamento atmosferico che è tassello di uno più grande ancora (la variazione climatica), che non possono essere affrontati in modalità contingente, che costituisce sfortunatamente la norma della politica amministrativa, pena la più evidente inefficacia delle (poche) misure possibili.

¹ National Geographic, novembre 2015.

Luca Pedrotti Dell’Acqua

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