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APOCRIFA – Sussurri e schiamazzi bis

Quelle poche precedenti considerazioni (nello scorso numero 130) circa la visione che si può tratteggiare in merito all’età degli umani, rapporto obiettivamente relativo e ambiguo come già detto, hanno suscitato qualche intervento la cui sostanza, come quasi per tutte le cose intelligenti, è semplice oltre che intellegibile: non c’è bisogno di scrivere libri o realizzare ricerche scientifiche per arrivare alla conclusione (bastano poche parole oltre a tutto radicate nell’esperienza) che se l’età avanza sostenuta da una buona o discreta salute è un fatto positivo mentre non lo è se questo avviene in condizioni precarie: e senza scomodare il senso comune con declaratorie simili a slogan pubblicitari del tipo la vecchiaia non esiste.

L’uomo, nondimeno, essendo dotato (per il tramite della Creazione, dell’Evoluzione, del Caso, dell’Evoluzione creativa: ognuno scelga come preferisce) -da un lato- di facoltà cognitive e -dall’altro- di un terrore del vuoto (termine qui usato senza riferimento né alla psicologia né alla fisica aristotelica) esistenziale e metafisico analogo, in natura, forse solo alla paura che provano i felini nei confronti del fuoco, è comunque spinto dall’ansia a indagare e, nei limiti di quanto riesce, a dare risposte consolatorie (quantomeno nelle intenzioni).

Ben nota, ad esempio, è quella di Epicuro di Samo, in conformità al proprio nome che significa compagno o soccorritore e persuaso che vana sia la parola del filosofo se non allevia qualche sofferenza, la quale cerca di aiutare l’uomo a difendersi dalla paura della morte con la famosa considerazione, contenuta nella lettera a Meneceo, secondo cui il piú terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú.

Ma per tornare al tema, ecco che le menti più sensibili si cimentano più o meno temerariamente con i grandi temi e sovente ricorrono alla metodologia dell’elogio che è una composizione (più spesso usata a favore dei trapassati) con la quale si tende ad affermare qualcosa con una certa compiutezza cercando anche di andare, per così dire, controcorrente: valorizzando prospettive che solitamente, lì per lì, non riscuotono la migliore considerazione.

Così abbiamo a disposizione elogi della vecchiaia, situazione in verità già un po’ compromessa dalle valutazioni, tanto per dire, di Menandro, Qohelet e Plauto, redatti da Cicerone, che ci si impegna con validi risultati da avvocato par suo, pur con qualche forzatura come l’idilliaca visione di questi uomini che dopo aver ricoperto cariche pubbliche si compiacevano di coltivare i campi: sarebbe utile raccogliere anche le testimonianze degli schiavi che lavoravano per loro e dei contadini in genere nel corso dei secoli, a Petrarca e al positivista Mantegazza il quale, prima che la durata della vita media si impennasse, spezzava una lancia a favore della senescenza considerata dai più una iattura.

Petrarca, tra l’altro, le dedica un bel dialogo (in De remediis utriusque fortunae, II, 84) con qualche nota valida universalmente (tutti vogliono vivere a lungo, ma nessuno vuole essere vecchio/per la maggior parte la disgrazia non è essere invecchiati, ma avere vissuto/non è nato invano chi muore bene).

Inoltre elogio dell’imperfezione, elogio della lentezza, elogio della follia…

Riguardo alla prima, per esempio, Montalcini scrive nella sua biografia di non avere mai avuto l’abitudine di scrivere appunti o tenere un diario: sarebbe stata una deformazione, magari inconscia, dell’esperienza vissuta derivante dal desiderio di servirsene in futuro a uso della vecchiaia o nella speranza di far partecipi i posteri delle proprie esperienze. Se la memoria non ha registrato un evento, è inutile tentare di farlo rivivere.
Posizione comprensibile ove si abbia (e si mantenga) una memoria di ferro. In caso contrario il rischio può essere non avere nulla da trasmettere, neanche qualche piccola radice senza la quale la creatura è, appunto, sradicata, e non per consapevole scelta, ma unicamente per accidente esterno.

Riguardo alla seconda, che nello scenario sempre più frenetico del web (mail et social compresi) assume sempre di più una funzione paragonabile alla legittima difesa, piace ricordare alcune parole di Kundera, in qualche modo riassuntive: il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria, il grado di velocità è direttamente proporzionale al grado dell’oblio.
Lo sperimentiamo ogni giorno.
Anche le neuro scienze, per esempio con Maffei, mettono in guardia nei confronti del pensiero digitale, di fatto e di diritto contro natura (e osservando il mondo esterno se ne possono individuare alcune devianze principali), e sollecitano un prudente recupero di comunicazione (linguaggio e scrittura) normale, cioè lenta e a misura del cervello.

Ma nel ritratto acuto e paradossale della società del suo tempo, Desiderius Erasmus Roterodamus (da Rotterdam) sottolinea i difetti dell’uomo e suggerisce, ieri come oggi, la necessità del rinnovamento.
Non pensiamo di essere in contraddizione ricordando come egli abbia scritto la sua opera in pochi giorni e quasi per divertimento ospite dell’amico Tommaso Moro: Erasmus era un genio che all’età delle nostre scuole medie conosceva greco, latino e i classici.
Nella multiforme vicenda degli uomini in cammino, ove si può trovare tutto e il contrario di tutto, ha insegnato, in ogni caso e sempre, la prevalenza dello spirito libero.

LMPD

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