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APOCRIFA – Lettera di accompagnamento

La nuova norma sulla legittima difesa (programma di uno, ma votato anche dagli altri) è stata promulgata dal Capo dello Stato dopo una pausa di riflessione che ha prodotto anche una autorevole lettera, inviata ai due presidenti delle Camere e al primo ministro, in cui sono stati evidenziati punti degni di considerazione subito oggetto di plauso da parte degli operatori, magistrati e penalisti, oltre che, l’interesse estremo, del principale artefice del manufatto in parola.
Resta il particolare che per correggere una legge ce ne vuole un’altra, ma transeat.

Tralasciamo i punti che concernono la disparità di trattamento (spese di giudizio) fra chi si difende nel domicilio e chi fuori come tra furto in appartamento et scippo e rapina (il Legislatore impiega molto tempo nella sua attività, ma non sempre dedicato a quello che scrive onde dubbi di irragionevolezza sulla portata di talune norme, sebbene appena sfornate, o difficoltà interpretative in genere non sono certo eccezioni) e accontentiamoci degli altri due, più giuridicamente -diciamo così- sostanziali, leggendoli in prospettiva d’importanza crescente.

Lo stato di grave turbamento (causa di non punibilità per chi, in casa, si difende dall’aggressione) non è certo interpretabile come presunzione, ma essendo, di per sé, un fatto, anzi in questo contesto il fatto, andrà motivato, provato, accertato e riconosciuto come obiettivamente esistente nel caso concreto (cioè caso per caso) da parte del giudice. In altre parole questo stato dovrà risultare effettivamente causato dalle circostanze della situazione in cui è emerso.
E’ un richiamo, Signor Presidente, a (noti) principi generali del diritto analogo a quello che un attento e coscienzioso professore universitario potrebbe rivolgere a studenti che manifestino dubbie preferenze per schemi più ideologici che tecnico-giuridici.

Noi tendiamo a dare per scontato (e sbagliamo) che in un equilibrato sistema dei tre poteri fondamentali il Legislatore questi particolari dovrebbe conoscerli come pre-condizione per il proprio lavoro, ma poi, in ispecie quando si comunica al popolo nella ininterrotta ricerca del consenso di cui ci si nutre e di cui si vive, qualche dubbio emerge dalle nebbie delle parole onde un’autorevole oltre che assertiva puntualizzazione in merito non è superflua: tutt’al più inascoltata.

Ma il problema, Signor Presidente, sta nell’ultimo punto (che cronologicamente è il primo nella lettera di accompagnamento): la nuova normativa non indebolisce né attenua la primaria ed esclusiva responsabilità dello Stato nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini, con il quale si tocca, ahinoi, uno degli argomenti centrali del patto politico-sociale dello Stato di diritto.
E qui invero la frase, ineccepibile oltre che chiara nel suo semplice contenuto, suscita pensieri molesti quantomeno in coloro che, non accettando evidentemente di considerarla, anche e soprattutto per la penna di chi l’ha scritta, una dichiarazione di rito (o banale) come tante sono indotti a chiedersi cosa, in realtà, esse significhino (Faust: E che dir vuole codesto gioco di strane parole?): rivestono esse una funzione di augurio, di gesto apotropaico, di invito a provvedere in maniera (più) efficace, di constatazione (desolantemente) critica?

Poiché è palese che non solo il nostro Stato (e non da oggi e tralasciando in toto il capitolo della plurima criminalità organizzata) è carente al riguardo per non pochi ed estesi territori della Repubblica, per numerose periferie cittadine e non solo, per ripetute criticità d’intervento che si potrebbero condensare nel concetto più ampio di generale mancanza di presidio del territorio, ma che anche e proprio in questa rete dai molti sfortunati strappi si è nel tempo addensato l’humus che, crescendo, ha da un lato incentivato, nella difesa armata, l’ideologia del fai da te e dall’altro alimentato la retorica ideologica e propagandistica dei diversi padri della recente normativa (comunque la si valuti, già detto, nei suoi reali termini tecnici).

A reagire con le armi sono di norma indotti, salvo eccezioni che confermano la regola, non tanto cittadini insolitamente aggressivi o impazziti o convertitisi alla caccia umana (per carità, nella massa ci saranno anche questi) quanto piuttosto soggetti esasperati da un continuo e inarrestabile stillicidio di aggressioni ai propri (anche modesti) beni o, peggio, persona.

E in assenza di un’accettabile presenza di tutela dello Stato se non a posteriori e, in particolare, nelle aule giudiziarie in cui le connesse valutazioni, per definizione postume rispetto agli avvenimenti e sovente troppo diluite sia negli anni sia in oscillanti sentenze, finiscono spesso per non lasciare sensazioni favorevoli alla giustizia (nonostante le auguranti scritte poste sopra gli scranni), i soggetti politici apicali troppo spesso non considerano abbastanza o dimenticano, presi dai propri compiti, che la situazione di sicurezza di cui essi stessi godono a motivo dei loro alti uffici non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella che sempre il medesimo Stato riserva a tutti gli altri comuni mortali.

Va da sé che chi si trova in determinate posizioni pubbliche debba comprensibilmente e legittimamente usufruire di cure particolari, e che non sia immaginabile aumentare oltre certi livelli di decenza gli effettivi delle forze dell’ordine, ma questo non giustifica la pretermissione degli altri: in medio stat virtus o, meglio, le responsabilità dello Stato vanno attuate, quantomeno mediamente, nei fatti.

Chi scrive ha svolto, sebbene assai modestamente, una professione che lo ha tenuto a contatto tutta la vita con leggi e tribunali e, tra l’altro, tende starsene lontano, almeno per quanto sta in lui, dalle aule giudiziarie con cura analoga a quella dei medici ospedalieri i quali si risolvono a farsi ricoverare solo in punto di morte, e quindi, Signor Presidente, non è soggetto a tentazione veruna indotta nemmeno in forza delle ultime novità (a parte le proprie convinzioni etiche e morali d’antan), ma si permette di accennare ad alcuni episodi, fortunatamente sempre minimali, accadutigli di persona.

Dei vari furti in casa subiti non è mai stato ritrovato nulla: ogni tanto sono pubblicate, come noto, sulla stampa fotografie di copiose refurtive sequestrate alle bande sgominate con gli agenti sorridenti dietro al tavolo, ma poi la notizia si spegne.
Sarà anche una combinazione, ma quando hanno rubato a casa del Sindaco (di Milano) sono state prese subito le tre giovani signore rom autrici del malestro.

La sparizione dell’automobile avvenuta nel corso della notte va denunciata, mi creda, subito alla mattina seguente preferibilmente per evitare guai ove il malfattore abbia nel frattempo e nell’esercizio delle sue funzioni messo sotto qualcuno: il commento lapidario del pubblico funzionario è stato, per esempio, che, a quest’ora, la macchina è già oltre il confine: le portano all’Est.

Le auto viaggiano su strada, non per i sentieri montani: forse qualche attenzione meno distratta o annoiata ai mezzi che di notte passano i confini…no?
Per la bicicletta rubata in pieno giorno e con cesoie in piazza S. Babila, a Milano, dove peraltro non s’incontra un vigile (pardon, da quando sono diventati polizia municipale non se ne vedono più in strada) neanche per sbaglio, è stato dal solito esperto suggerito di tenere d’occhio il Parco Alessandrini e recuperarla così direttamente con pochi soldi (non è servito: sarà stata portata anche lei all’Est, non per nulla mercato europeo).

All’allarme telefonico di furto in casa, con tanto di piccone per lo scasso lasciato in bella vista nel mezzo del corridoio, ovviamente si preferisce non entrare e si telefona alla forza attendendola sulla soglia per oltre quaranta minuti: quando finalmente essa arriva (se gli intrusi, impermaliti di essere interrotti, avessero reagito? La storia non si fa con i se) ecco il consiglio di scrivere al signor questore.

Alla vicina, una signora vedova che vive da sola, si accingono a scassinare la porta verso sera, neanche attendendo la notte: per sua ventura ella ha un cane, brutto ma coscienzioso, che abbaia e l’opera rimane incompiuta: la forza risponde al telefono che in quel momento sono tutti occupati (è sicuramente vero), ma che di solito però i ladri -se disturbati- non tornano e, in ogni caso, di ritelefonare pure se si dovesse ancora avere bisogno.

Tralascio altri aneddoti: sono desolantemente simili, ma veri: e convengo, inezie di fronte alle sparatorie.
Anzi, queste cose le sanno anche meglio di noi gli addetti ai lavori: in estate e con la finestra (imprudentemente) aperta nell’afa cittadina notturna mi risveglia (a essere vecchi ci sono indubbi vantaggi fra cui il sonno leggero) un insolito rumore proveniente dall’arrampicarsi di un atleta lungo il pluviale in direzione dell’invitante davanzale. Segue un breve e surreale colloquio che termina con il perentorio invito da parte di colui a scendere in strada perché intendeva prendermi a sberle: era, all’evidenza, irritato dal fatto che gli avessi ostacolato il lavoro. Considero una fortuna che il pluviale abbia tenuto: se quello fosse caduto infortunandosi a causa della cattiva manutenzione del mio tubo!

E’ peraltro da confermare come gli agenti, sia di PS sia Carabinieri, siano di norma gentili e comprensivi (uno giunse al punto da darmi il biglietto da visita), pur nelle affannose loro condizioni operative, ma non altrettanto si può riconoscere allo Stato cui indubitabilmente compete la primaria ed esclusiva responsabilità nella tutela della incolumità e della sicurezza dei cittadini.

A meno che non ci accontentiamo dei numeri circa i morti ammazzati allo stato registrati, per fortuna, in diminuzione.
Secondo il Sindaco di Milano sono in giro in città circa diecimila fra vigili, PS, Carabinieri e Finanzieri: gli crediamo, ma non si vedono e come noi non li vedono coloro che hanno da tempo compreso come la probabilità di essere intercettati sia oramai una semplice possibilità: se qualcuno, particolarmente in tempo notturno, fosse invece in giro a pattugliare le strade comuni (e non solo gli obiettivi sensibili) e magari, a campione, si spingesse perfino a chiedere i documenti a tanti nottambuli che (legittimamente, fino a prova contraria) strisciano contro i muri o a verificare cosa abbiano nelle borse o cosa trasportino nei bagagliai alle tre di notte (è questo il presidio del territorio e la refurtiva non è solo il rolex d’oro che si nasconde in tasca), inizierebbe a realizzarsi un minimo di deterrente a vantaggio dei cittadini da tutelare.

Anche il Sindaco argomenta -commentando il progetto delle zone rosse antidegrado- che il tema è come rafforzare il presidio umano perché si riesce ad andare oltre la paura anche un po’ di pancia [non sempre solo di pancia, ndr] che hanno i cittadini se si vedono uomini o donne delle forze dell’ordine sotto casa.
In altre parole: come presidiare la città, appunto.

Ah, dimenticavo, Signor Presidente.
Si sta in questi giorni svolgendo il processo contro un carabiniere che, in occasione del Gran Premio a Monza e in situazione di allerta antiterrorismo diffusa dal prefetto, ha fatto partire un colpo di pistola ferendo un tale (a posteriori rivelatosi uno squilibrato e non un terrorista, ma con il senno del poi, dicevano i vecchi, ci indovinano tutti) che, già inseguito da una gazzella e carambolando fra le auto in sosta, si sottraeva con la violenza a un altro posto di blocco destinato a fermarlo: si ricorda, Signor Presidente, di quel ministro che non più tardi di alcuni giorni or sono invocava la legittima difesa per le forze dell’ordine?

LMPD

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