HomeDialogandoNewsletterApprofondimentoEDITORIALE – Uomini e donne e innovativa farneticazione

EDITORIALE – Uomini e donne e innovativa farneticazione

Agli Iraniani non è parsa vera l’occasione di poter salire sulla cattedra della storia e, davanti allo spettacolo socio-politico provocato dal progressivo trasformarsi di un (all’origine) violento in macchietta e poi in demente, hanno sentenziato per bocca del loro presidente che gli ultimi eventi accaduti negli USA dimostrano quanto sia fragile e vulnerabile la democrazia occidentale, mentre il ministro degli Esteri russo ha osservato che il sistema elettorale americano è arcaico e non adeguato ai moderni standard democratici  oltre che i media sono diventati strumenti di battaglia politica.

I cinesi, presenze ben più serie (e pericolose), secondo il loro indecifrabile costume non si pronunciano e attendono sulla riva del fiume.

A parte che il russo confonde la instabilità di mente (uomo) con il processo elettorale (norma) del quale ha forse -concettualmente parlando- un’esperienza migliorabile (cosi come dei media che possono, anche e perfino, essere abbastanza indipendenti), il presidente persiano ha naturalmente ragione sia sotto il profilo puramente teorico (la democrazia è colma di difetti, ma non si è ancora riusciti a trovare qualcosa di meglio e certo il sistema che vige nel suo Paese qualche ombra la presenta a sua volta) sia se limita la sua considerazione alla parte, per così dire, folkloristica della sparpagliata canaglia la quale, previamente mobilitata via social e adeguatamente provocata dall’irresponsabile mala fede dei suoi capi organizzatori, dà l’assalto a Capitol Hill come un tempo i loro padri ai campi dei pellerossa.

Ma sbaglia sotto il profilo sostanziale non accorgendosi (o fingendo) che il repubblicano vice presidente Pence, pesantemente condizionato quanto vilmente attaccato da Trump con l’accusa di non fare il suo dovere (cioè di non rimestare in mala fede nei risultati delle elezioni) prima si è rifiutato di violare la Costituzione e poi, subito nel giro di una manciata (14) di ore e nonostante la rivolta di un centinaio di esponenti repubblicani e le devastazioni in corso, ha condotto il parlamento riunito alla definitiva e formale proclamazione del 46esimo presidente degli USA.

E, con Pence, tutti gli altri che si sono opposti al tentativo di colpo di stato arginandone con coraggiosa determinazione in tempo reale sia gli autori sia le più dirette conseguenze.

Con il che costringendo l’esagitato uscente -dalla cui carcassa nel frattempo, secondo un costume non solo USA, ma comune sotto ogni cielo, scappano i topi che ancora vi erano rimasti intanati, mentre anche grandi nomi della finanza e dell’economia si affrettano (ora) a prendere pubblicamente le distanze e i monopolisti della rete (ora) lo zittiscono con determinazione indotta dal timore di Biden- ad apparire in un video (registrato) con il riconoscimento esplicito che una nuova amministrazione guiderà dal 20 gennaio prossimo gli Stati Uniti.

E poiché le parole, specialmente in bocca a tanti (suoi) pari, non valgono l’aria per ora gratuita che serve a formularle, colui si esibisce perfino a condannare le violenze che la folla dei suoi sostenitori, avendola istigata, ha compiuto irrompendo nel Congresso.

Chi sa quante ne dirà fino al 20 gennaio (ora dichiara la sua assenza al giuramento del neo-eletto: e getta tanti nello sconforto) e poi e poi: ma sarà ispirazione dei vignettisti a onta del fatto che, umanamente parlando, con tutti i suoi soldi e il suo potere ora fa anche pena.

Con buona pace dei morti, dei feriti e dei danni (nemmeno tanti) oltre che della vergogna (molta) consegnata alla storia.

Con ragione Biden, che gli avvenimenti fanno ora scivolare al governo in condizioni di spaccatura nazionale quale non è data ricordare, ha osservato che se i dimostranti invasori fossero stati di colore scuro sarebbero stati contenuti o avversati ben diversamente dalla polizia: di strada la civiltà, anche nel Paese dei master prestigiosi e dei nobel, ha da farne ancora e tanta.

Lo prova anche il fatto che poco meno della metà dei cittadini statunitensi abbiano insistito nel votare oltre all’individuo in sé anche un’ideologia composta pur da differenti radici ispirate a ingenuità, patriottismo (ma all’evidenza senza la consapevolezza di fraintenderlo), aspetti religiosi fondamentalistici, fede acritica nei complotti più strani, ma comunque avente un comune denominatore nella paura astiosa sia della povertà sia della deriva anche morale correlata all’insopportabile e ipocrita strategia del politicamente corretto democratico.

Palesemente usurato, oltre a essere falso, e il cui ideale originario di base è stato smentito sia dalle esagerazioni e dal ridicolo sia anche da comportamenti privati di suoi esponenti di spicco che hanno accreditato una generalizzata immagine eticamente, e non solo, negativa nel giudizio di tanti.

A proposito di che il neo presidente dovrà anche guardarsi, come ogni capo che si rispetti, anche da quelli di casa sua come il reverendo pastore metodista (di colore) rappresentante del Missouri che ha introdotto la par condicio nella preghiera recitata nella seduta inaugurale del nuovo (117°) Congresso ponendole, al termine, accanto al (tradizionale) a-men altresì il (progressista) a-woman.

Dichiarandosi poi sconcertato, a fronte delle reazioni, dal fatto che non si fosse compreso, la colpa è sempre degli altri, il suo arguto gioco di parole (a parte la differenza comunque rimasta fra uomini e donna) che voleva in realtà, nelle intenzioni, essere solo omaggio ammirato a una mai tanto elevata presenza femminile alla Camera.

E forse sfuggendogli in toto perfino un possibile e imprevisto intervento dell’alfa privativo atto a paritariamente escludere, grazie a Dio, sia uomini sia donne dalla innovativa farneticazione.

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