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EDITORIALE – Anno nuovo, in punta di piedi

L’anno vecchio è andato in quiescenza senza troppi rimpianti, né da parte sua né da parte dei cittadini, a parte quello (fondamentale, ma sfortunatamente incorreggibile) di avere lasciato senza tanti complimenti altri 365 giorni sul gobbo alla gente, e l’anno nuovo è entrato a prendere il suo posto in punta di piedi.

L’espressione può sembrare poco appropriata, per esempio, se rivolta al capoluogo partenopeo cui una singolare -nel senso più letterale dell’aggettivo trattandosi della prima nella storia della città- ordinanza del neo sindaco aveva inibito l’uso dei fuochi d’artificio in occasione di san Silvestro, ma bisogna pur considerare come, da noi, siano importanti oltre alle ancestrali tradizioni eziandio i connessi giri d’affari, specie se illegali (stimati dai carabinieri in circa 30 mln di euro), e particolarmente lo stropicciarsene in genere delle disposizioni così che Napoli vista dall’alto a somiglianza (mutatis mutandis) di un bombardamento a tappeto rientra a sua volta nella normalità.

Anche il sindaco, dopo un primo momentaneo smarrimento, se ne sarà fatta una ragione: dopo tutto ci è voluto andare lui, a sedere su quello scranno prestigioso.

Si diceva che l’anno nuovo è entrato in punta di piedi ed è vero: conforme all’intuizione -a oggi non ancora smentita da alcun esperto- che non c’è il due senza il tre stiamo infatti entrando a gonfie vele e bandiera gialla e nera (nel passato indicava epidemia a bordo) garrente al vento nel terzo anno di infezione pandemica e sembra preistoria, come passa il tempo, quando in occasione del primo confinamento (alias: lockdown) si contavano i morti dai quotidiani bollettini di guerra, ma si confidava anche nell’arrivo dell’estate che avrebbe spazzato via tutto e, comunque, nella messa a punto del vaccino in caccia del quale si erano messi ventre a terra i ricercatori farmaceutici.

L’estate giunse poi regolarmente e anzi, a motivo della generale mutazione climatica di causa antropica in atto, si rivelò pure più calda del solito fors’anche promuovendo la lievitazione della temperatura cerebrale di politici e di tribuni della plebe in cerca di consensi onde, tra l’altro, la ridevole tenzone sulle mascherine (no mask). Ma non spazzò via il virus.

Giunsero quindi, più tardi ma sempre sorprendentemente solleciti in rapporto alla media della loro normale genesi, anche i vaccini e aprirono le danze a una tortuosa vicenda di informazione e controinformazione (no vax), del pari subito adottata dalla medesima politica di bassa lega, che non l’avrebbe immaginata neanche il Kgb ai suoi bei tempi e che tuttora perdura come la poco allegra iscrizione sulla porta descritta da Dante all’inizio della prima cantica.

I vaccini, nella loro declinazione di sì e no e quasi, -si era ai tempi di un rifornimento di dPCM al mese per fare andare avanti la nave (dove era più difficile indovinarlo, dato che non lo sapeva nessuno)- promossero altresì un’infinita teoria (che sempre dura) di trasmissioni televisive e di interviste pressoché quotidiane sui media le quali svelarono ai cittadini l’altra faccia della luna: l’esistenza non solo di un numero veramente eccezionale di scienziati esperti in materia (e poi dicono che in Italia non si fa ricerca), ma anche di una quasi analoga quantità di teorie, previsioni e declaratorie sul medesimo virus, peraltro ugualmente straniero a tutti, che riescono però a essere sempre diverse e comunque discordanti.

Una prova in più a favore dell’ispido Eraclito di Samo -non per nulla soprannominato l’oscuro da uno del ramo, Aristotile- e una in meno a favore della scienza cui ancora una buona parte dello spaurito gregge, in attesa della promessa immunità, confidava e tuttora ancora (forse) confida sebbene insospettito da Omicron.

Si è comunque addivenuti alla scoperta di un altro virus, di cui taluni già da tempo sospettavano l’esistenza il quale, del pari, presenta numerose varianti: il virus ipercontagioso dell’apparenza e del protagonismo che  dopo la fase d’incubazione, per solito breve, induce al ringhio pressoché costante.

Ci fu anche, per la verità, uno scienziato (mi sembra suddito della grande Germania) che se ne uscì a dire, con la consueta capacità anglosassone di evitare i valzer verbali mediterranei, come si fosse davanti a un fenomeno del tutto ignoto e, allo stato, inspiegabile onde fosse meglio parlare meno e studiare di più, ma il suo contributo, giudicato deludente anche perché non faceva litigare nessuno, fu confinato in due righe di quotidiano e dimenticato.

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