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APOCRIFA – Sogno che va, sogno che viene

L’Italia si è trovata senza governo grazie e a seguito delle mene di tre capi politici (chiamarli responsabili di partito si sbaglia forse per eccesso) che avevano, un anno e mezzo fa, aderito all’invito del Presidente della Repubblica di costituire un’intesa di unità nazionale (dalle nostre parti noto ossimoro con valenze ignote) o di salute pubblica nel tentativo di salvare per quanto possibile il Paese, trascinato nella deriva del Conte 1 & Conte 2, da guai ancora maggiori.

La sincerità non fa evidentemente parte del bagaglio dei politici, salvo forse preclare eccezioni, né certo gliela si chiede, ma gli interessi di bottega costituiscono in ogni caso le palafitte dell’agire dei politicanti e così, seppure obtorto collo per mancanza di alternative a cominciare dall’impegno di sé stessi e dalla propria incapacità, avevano almeno nella forma accettato onde il governo Draghi si era rapidamente costituito e del pari rapidamente iniziato a lavorare.

Incredibile et inaudito!

Il governo di Mr. Draghi è stato indubbiamente un caso anomalo nel ripetitivo, rissoso e quasi sempre sterile scenario italico di infimo cabotaggio e questo si deve principalmente alle (riconosciute) competenza, capacità e statura internazionale del primo ministro che ha prestamente e inopinatamente portato in quota una politica, anzi una politicanza, adusa più al parlare e battibeccare che al fare e con ciò facendo provare ai concittadini (qualcuno si ricorda ancora, e. g., scenette, macchiette, gaffes, darsi di gomito etc) la sconosciuta ebbrezza di vedere i propri governanti pro-tempore anche e perfino considerati seriamente da partner e compagnia varia, amica o meno, oltre confine.

Senza parlare, per esempio, di primi importanti obiettivi in materia di PNRR che, dopo le iniziali cospicue allocazioni, andranno poi anche realizzati nei fatti secondo i rispettivi cronoprogrammi.

Un governo condotto in modo efficace ed efficiente (il leader non è un parolaio demagogo, ma chi sa condurre), cui la stragrande maggioranza delle forze politiche in qualche misura aderiva e, chi più chi meno, contribuiva o quantomeno lasciava fare pur con limitato entusiasmo, ma in vista di un obiettivo e di un interesse di comune sopravvivenza una tantum quasi da tutti condiviso a motivo delle pericolose secche ancora da attraversare (guerra, pandemia, crisi economica ed energetica, inflazione, flussi migratori in ebollizione etc) era un buon sogno che si andava realizzando in un periodo oscuro oltre che angoscioso della storia nazionale e non: roba da far tenere il fiato sospeso a chiunque non sia a priori incapsulato nella stia ideologica di parte.

Certamente in presenza di tensioni e ripicche coltivate nell’utilizzo costante e levantino del doppio binario (contemporaneamente al governo e all’opposizione), ma forse la sensazione o il sospetto che molte fasce elettorali (anche proprie) non avrebbero compreso atteggiamenti meno collaborativi induceva i vari ras e capataz pur temporaneamente eclissati a dimenarsi sì, ma con un po’ di attenzione per la cristalleria.

E nonostante l’equilibrio sempre in delicato bilico dovuto al fatto che chi non sapeva fare aveva accettato di lasciare fare a chi invece sapeva fare (e forse non è neanche da escludere che l’iniziale consenso fosse, in qualcuno, accompagnato dalla speranza che Draghi, inesperto come politicante, sarebbe in mezzo a quel variopinto team di ministri finito presto a sbattere) il governo di unità nazionale, ancorché in parte falso e bugiardo, faceva di più e meglio dei precedenti i quali, pur di stare al potere, mischiavano i colori più inaspettati e chi sa quali altri ancora avrebbero steso sulla tavolozza per continuare.

Ma un siffatto esperimento politico può essere anche e soprattutto, dal loro punto di vista, un rischio per gli eclissati perché dimostra nei fatti concludenti che si può stare (e governare) meglio anche senza di loro, per quanto sembri inaudito, onde ecco tornare a galla il vecchio e non mai dimenticato principio avvolto nella carta oleata: primo vivere (prendere poltrone, sgabelli e strapuntini) e poi filosofare.

Così il sogno si è spento a causa di comportamenti poco comprensibili per i comuni cittadini, ma comprensibilissimi alle rispettive formazioni che hanno trovato anche l’appoggio peloso di chi, già precedentemente convinto di avere i numeri e la stoffa per rimpiazzare Mattarella, confida ora di rifarsi vincendo le elezioni e così atterrare sullo scranno della presidenza del Senato.

Insieme al sogno che va, anzi che è già andato, c’è -più sommesso- anche il sogno che viene, ancora più arduo del primo.

Ma oramai rotolando implacabile l’orologio verso il mezzo di questa torrida estate, malsana in tanti sensi, sogno certamente lecito per quei numerosi (ancora) cittadini che non fanno parte, né mai hanno partecipato, all’Italia dell’urlo e del malaffare e della politicanza, ma hanno continuato a lavorare dignitosamente nonostante tutto, l’erosione dei redditi e la crescita delle spese.

E cioè che le elezioni del 25 settembre prossimo (secondo italiota tradizione si è subito parlato di candidati e pluri-candidati, ma non mai di programmi e di come nel caso realizzarli) possano bocciare e fare piazza pulita mandando a casa (non alla Grillo, ma con un legittimo voto) e una volta per tutte i politicanti sfiatati, con il loro seguito di reggicoda e tirapiedi, che ancora sono e rimangono e rimarrebbero a sguazzare sempre nella medesima palta da loro medesimi prodotta.

E’ l’unica forma possibile di reazione o di (parziale e molto ritardato) risarcimento che i cittadini normali hanno verso gli impresentabili di nome e di fatto: usare il diritto di voto per fare rinascere il Parlamento.

LMPD

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